Il trionfo della tragedia
Da sempre la tragedia, e in particolare quella classica, ha mosso gli animi degli uomini di tutto il mondo. Quest’anno i suoi valori immortali, la sua umanità universale e il dissidio perenne tra bene e male, tra servilismo e coraggio, hanno ispirato anche la Filodrammatica di Poschiavo, che ha portato in scena una bella rappresentazione dell’Antigone di Sofocle, pilastro della storia teatrale. I temi toccati nella pièce sono diversi, dalla pietas, alla guerra, passando attraverso il difficile rapporto tra padre e figlio, la politica e la religione. Ma al centro regna sovrano l’essere umano, con il suo amore, le sue incertezze e le sue deviazioni.
A dominare la scena sono soprattutto due personaggi: Antigone e Creonte, suo zio e feroce dittatore. I due caratteri sono in netto contrasto. L’Antigone rappresentata è un’eroina mitologica molto femminile ma ben lontana da quelle che ogni giorno vediamo sugli schermi televisivi.
I suoi caratteri seguono i canoni greci della maturità, della dignità, della severità e del comportamento retto. Consacrata ai più profondi valori famigliari, la figlia (ma anche un po’ sorella) di Edipo, è una figura di resistenza, che dice no al dispostismo e alle leggi inique. Lo fa per la famiglia. Perseguitata da un destino crudele, Antigone affascina perché riesce a rimanere un personaggio profondamente umano che compie gesti semplici e caritatevoli come la sepoltura di suo fratello. A colpire maggiormente sono sicuramente il suo coraggio, la sua dignità, ma anche e soprattutto la sua capacità di sopportare il dolore che subisce e che regna attorno a lei.
Sul versante opposto Creonte, un tiranno spietato, geloso del proprio potere e ligio al dovere. Il suo essere re gli vieta infatti di fare distinzioni tra famigliari e altri sudditi. La sua ira tocca il culmine quando una donna, Antigone, cerca di far rispettare una legge non scritta (la sepoltura di Polinice), e soprattutto non voluta da lui. Da questo punto in poi, però, anche questo personaggio, apparso fin lì intoccabile, inizia a sussultare e le sue certezze verranno totalmente annientate dal diverbio con il figlio, scagliatosi contro di lui, e dalle tremende profezie dell’indovino Tiresia.
Alla fine tutti i personaggi si perdono irrimediabilmente nella loro solitudine e da questa situazione scaturiranno anche i suicidi finali contenuti nel testo originale ma taciuti nella tragedia presentata a Poschiavo. Sia Antigone che Creonte, ma anche Emone e Ismene, sono confrontati con un isolamento morale, che impedisce loro di comunicare. E in effetti, a ben guardare, sono i monologhi ad occupare gli spazi maggiori dello spettacolo. È una tragedia in cui chi uccide finirà sconfitto.
Tra i vari passaggi degni di nota va sottolineato l’adattamento dei cori, la coscienza critica e pubblica, che hanno subíto una gradevolissima mutazione artistica dettata da musica, ritmo, luci, poesia e corpi che si muovono. Il risultato finale consiste in varie coreografie molto suggestive che spezzano lo spettacolo nei suoi diversi momenti.
Vestendo gli attori da soldati dei giorni nostri e proiettando immagini riferite ai conflitti che insanguinano la realtà contemporanea, la compagnia ha volutamente insistito sulla profonda attualità che emerge dalla sceneggiatura e dalle parole di Antigone, ma il messaggio è tanto chiaro che questi dettagli non erano probabilmente necessari. È senz’altro una tragedia che fa riflettere e che sprona a levare il capo contro le ingiustizie e a prestare più attenzione anche alle previsioni inquietanti dei tanti Tiresia contemporanei. Il valore didattico è evidente e dovrebbe muovere tutte le coscienze contemporanee, sempre più inclini ad accettare qualsiasi cosa senza battere ciglio, senza infuriarsi e senza provare a migliorare le cose. Ma la tragedia classica non è morta. Viva la tragedia.
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Redatto da Paolo Raselli – paoloraselli@gmail.com