Lezioni di politica e d’italiano
A che cosa ti serve?
Assistere senza poter partecipare, presenziare muto come un pesce, ma hai tempo da perdere?
Non di rado mi trovo di fronte a queste domande da parte di compaesani.
Vediamo un po’…
Se ci andassi al fine di apprendere delle novità inaudite, magari udire argomenti insospettati, farei meglio a rimanere a casa e leggere un romanzo. Sarebbe davvero sprecare tempo, starci tutta una serata in agguato del favoloso scoop che, semmai dovesse scoppiare, non lo farebbe sapere in anticipo.
Inutile pure sperare che, andando alle sedute, potrò senz’altro assistere ad un vero dibattito nel quale gli argomenti si affrontano, si combattono, si sfanno, si ricompongono per poi, legandosi, sfociare in un’opinione comune.
Nella Giunta i vari punti di vista sono ben conosciuti in anticipo, gli interventi servono a presentarli formalmente. Si litiga tutt’al più sull’ora «dal fant», mai su problemi fondamentali, mai su questioni esistenziali. Un vero dibattito non nasce mai.
Eppure, assistendo alle sedute, imparo sempre un sacco di cose. Sul funzionamento delle istituzioni comunali, sull’azione reciproca e la collaborazione fra Giunta e Consiglio, e più particolarmente sull’arte di gestire due dozzine di persone in seduta.
Già ad inizio lavori, il presidente conferisce alla seduta un pizzico di morale politica. Non un sermone. Semplicemente un leggero tocco. Sa esattamente cosa pensa la nostra gente, non solo la brava gente, ma il popolo. Sa pure ciò che vuole il popolo. Ed è a ciò che la Giunta deve giungere. Fonte d’ispirazione, il presidente introduce ogni punto dell’ordine del giorno. Lascia intendere quale dovrebbe esserne l’esito, guardandosi però meticolosamente di dare l’impressione che voglia imporre la sua volontà.
I deputati devono sentirsi perfettamente liberi di esprimere il loro parere!
Poi lascia scorrere gli interventi. Guida nondimeno con perspicacia i più audaci attraverso scogli noti o sospettati. Li trattiene sull’orlo di un eventuale precipizio dove ci si ritroverebbe in terreno eretico.
Passo a passo li conduce alla conclusione preconcetta, magari con una leggera spinta di qualche deputato del suo seguito già iniziato, in casi di bisogno contando sulla sua maggioranza automatica.
Osservando questo invariabile scenario, viene irresistibilmente a galla l’immagine del pastore circospetto che, pur permettendo al gregge di girovagare sul pascolo, sa ricondurlo completo, salvo e intatto all’ovile, per la più grande soddisfazione del capo del governo seduto alla sua destra.
Di fronte a così ammirabile virtuosismo, non di rado vorrei applaudire, e lo farei davvero se il regolamento della Giunta (art.11) non intimasse: “Il pubblico ammesso in sala deve astenersi da ogni manifestazione e da espressioni di approvazione o di disapprovazione!”
Le sedute della Giunta mi permettono persino di arricchire il mio italiano. Stranamente, poichè i deputati intervengono sempre in pusc’ciavìn. Eppure…
All’inizio dell’ultima seduta, il presidente, una miniera d’oro di cenni utili alla vita politica valligiana, fa gli auguri ai neoeletti deputati e consiglieri. Rileva particolarmente il risultato lusinghiero del capo del governo. Non esita a caratterizzarlo di plebiscito. Quest’espressione mi stupisce non poco! Infatti non sapevo che, in italiano, già con l’appoggio di poco più della metà degli aventi diritto si potesse dirsi plebiscitato. Il presidente allude poi agli aggressivi articoli preelettorali, a suo avviso diffamatori riguardo al capo del governo. Il suo grandioso risultato dovrebbe – così auspica il presidente, sottovoce minacciando – contribuire a tacitare quelle lingue maldicenti!
L’espressione tacitare, sconosciuta in pusc’ciavìn, mi coglie totalmente ignorante, e mi incuriosisce. Consulto il mio dizionario. Tacitare significa “far tacere in modo sottinteso, pagando, accordandosi”. Sottigliezza semantica che mi meraviglia.
Mi chiedo pure perchè mai il presidente, esprimendosi in pusc’ciavìn, invece dell’inequivocabile “fà tasé” ha preferito ricorrere a quel poco simpatico tacitare.
Ancora oggi sto ruminando se il presidente, non noto per parlare a caso e agire alla cieca, optando per quella irritante espressione italiana volesse forse segnalare spiacevoli ripercussioni ai colpevoli di quelle insidiose gentilezze sul conto dell’onorevole plebiscitato…
Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch