Se non é vero é ben trovato

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Se non é vero é ben trovato

Valposchiavo, A.D.I.U. 23 (*), ossia A.D. 2030

È ovvio che dei Pippi ne avevo sentito parlare già prima di stabilirmi qui in gennaio 2006. La loro presenza sulla scacchiera politica l’avevo però notata piuttosto leggendo il buon vecchio «Grigione» e l’allora nascente, ancora vigoroso online «Il Bernina». Ogni tanto vi si facevano vivi con punti di vista su temi svariati. Purtroppo i loro comunicati si contraddistinguevano non tanto per quello che avevano da dire che per essere accompagnati da un «fiore» grigiastro dai petali disparati, il loro logo. «Quel fiore c’era anche nell’articolo del Grigione del quale abbiamo parlato ieri prima che te ne andassi verso la Scera…», e porgo a Brocha il foglio con l’articolo.

Respingendo gli occhiali sulla testa pelata, Brocha avvicina il foglio agli occhi fino a sfiorare la punta del naso. Gli occhiali non gli servono per leggere ma per vedere dove mette i piedi. E dire che ai tempi, cacciatore famoso, sapeva colpire un cervo a occhio nudo su lunga distanza. Almeno così andavano le storie al tavolo rotondo. Come quella dell’imponente dodici palchi che Brocha si era fatto a qualche centinaia di passi da Vederscion. Scrutando il logo, a un pollice dagli occhi, esclama: «Ora ci sono! Quello strano fiore si vedeva nel giornale già prima che io emigrassi a San Cassiano nel 1999. Quando era apparso la prima volta l’avevamo preso per l’emblema di un neonato di quei gruppi ecologisti che allora pullulavano. Ne sorridevamo…»

Sconcertante davvero quel «fiore»: sei petali grigiastri di grandezza, formato e sfumatura disuguali. Forse proprio per questo un autentico simbolo dei Pippi! Si diceva che fin dalla loro nascita erano un movimento piuttosto sciolto. Non un partito, ma un gruppo formato da aderenti – socialistoidi, liberadicali, verdognoli, ecc. – già membri di altri partiti e che volevano rimanerlo. In realtà i Pippi erano un conglomerato di individui e gruppuscoli, una comunione di interessi incongruenti. L’unico loro denominatore comune: sottrarre ai Compatti il più grande numero, magari la maggioranza delle cariche politiche e amministrative, monopolizzare il potere per poi spartirsi i vantaggi e le prebende che ne derivano con i loro aderenti, amici e parenti. Insomma governare esattamente come facevano da sempre i dominanti Compatti…

Brocha sta ancora scrutando il logo, quasi volesse annusare il «fiore»: «Mi pare persino che il fiore sia rimasto immutato come creato dal grafico! I petali non si sono ravvicinati, tuttora neanche si toccano, nemmeno al centro… O mi sbaglio?»

Non si sbaglia affatto. I sei disparati petali avrebbero – nei sogni dei Pippi fondatori – dovuto congiungersi in un insieme armonioso, nondimeno dinamico e convincente. Non ce l’avevano mai fatta. Impossibile senza quel pizzico di adesivo ideologico del quale scarseggiavano più che mai. La sola lotta per il potere, unico obiettivo condiviso da tutti, non poteva sostituirlo. La tendenza centrifuga si era rivelata più potente che l’immaginata forza centripeta. Nel 2006, il conglomerato Pippi già si disfaceva. All’immagine di quel «fiorellino», il loro emblema. Come se il grafico, presagendolo, avesse voluto accennarlo…Qualche petalo si era già staccato o stava per prendere il largo. Alcuni rossoverdi ordivano in disparte un nuovo punto d’appoggio. I liberadicali erano ritornati al loro ovile nazionale. I socialistoidi, come di solito aspirando ad «avere la botte piena e la moglie ubriaca», erano ancora indecisi verso che orizzonte girarsi.

«Da ciò che dici, i Pippi, pur moribondi che fossero, nel 2006 esistevano per così dire ancora. Avrei dunque perso la scommessa! Quando erano apparsi sulla scena politica, vedendo come si schieravano, avevo scommesso con mio fratello che non farebbero neanche otto anni come noi «papisti». Ha vinto lui, ma è morto prima di saperlo.» Brocha schiaccia una lagrima sulla guancia, poi mi richiama: «Però non mi hai ancora detto chi faceva parte dei Pippi nel 2006…!»


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Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch