Detto in faccia o alle spalle
”È una grande soddisfazione sapere che i libri vengono letti e anche discussi», dice il nostro noto scrittore giù al lago. Verità lapalissiana. Nessuno crea un romanzo per poi rinchiuderlo nella cassaforte e buttarne via la chiave. Nessuno scrive articoli di critica socio-politica, economica, ecc. per poi sedersi sopra o cestinarli. Chi pubblica vorrebbe essere letto. La semplice conferma che il suo scritto non é passato inosservato gli procura soddisfazione. Chi si é esternato a cielo aperto trova piacere in ogni cenno che le sue righe hanno mosso qualcosa, magari agitato qualche cellula grigia… A condizione che lo venga a sapere, in un modo o un altro!
C’è chi, incontrandoti in strada, ti dice in faccia che nel tuo articolo gli è piaciuto questo, che su certi punti hai torto, che dovresti smussare la tua penna… Guarda un po’, ti ha veramente letto, bella soddisfazione! Se poi ne scaturisce uno scambio d’idee, tanto meglio. Peccato che simili simpatici faccia a faccia siano perle assai rare. Ancor meno frequente è il caso di chi te lo fa sapere per lettera che non condivide tutto ciò che hai scritto. Si dà pena per argomentare il suo punto di vista, mira a convincerti che hai torto pur rispettando la tua opinione. Provi soddisfazione già dal fatto che il/la mittente ha davvero letto il tuo articolo. La sua letterina è in tono cortese, costruttiva e firmata con il suo nome e indirizzo. La leggi con piacere, ti senti stimolato, prendi la penna e ringrazi la/il mittente della sua franchezza, delle sue cogitazioni. Avviene che anche da simile incontro epistolare ne emerga un dialogo più persistente, con rinnovata soddisfazione!
Tutt’altra storia se Tizio non ha gustato affatto il tuo articolo, se si è sentito urtato frontalmente dal tuo discorso. Tizio non te lo dirà in faccia che il tuo prodotto vale un cavolo. Sarà Sempronio che ti sussurrerà che Caio è venuto a sapere che Tizio avrebbe apostrofato l’articolo e l’autore! Ti rammarichi della poco comunicativa consegna del messaggio, trovi nondimeno soddisfazione potendo assumere che Tizio ti ha effettivamente letto. Simile reazione come questa orale avviene che la ricevi per iscritto e per posta. Qualcuno ti manda a dire tutto il male che ne pensa del tuo articolo e di te. Non sai chi te l’invia, può essere Tizio o Caio o Sempronio, la lettera è anonima o con «firma» inverificabile. Il linguaggio è quello di un libello, al limite dell’indecenza. Il/la mittente si sfoga, il tono è intenzionalmente offensivo. Non cerca il dialogo, perciò non mette fuori il muso firmando con il suo vero nome, lasciandoti inerme. L’invettiva fa male, ma trovi sollievo e soddisfazione nel sapere che il/la mittente ha letto il tuo articolo e non vi è rimasto/a indifferente.
E i casi ambigui? Un bel giorno ti sorprende questa strana letterina inviata dalle Canarie. Ti fa piacere sapere che degli ignoti in vacanza a Tenerife hanno avuto un pensierino per te. Dapprima le loro parole suonano simpatiche. Iniziano con «caro Dino». Confermano che ti leggono. Dicono di apprezzarli i tuoi scritti. Già ti metti a crogiolarti in soddisfazione! Ma poi, il tuo sguardo soffermandosi su quel «vaccate», ti chiedi se li apprezzano davvero i tuoi scritti o se non fanno che pretenderlo. Come mai li apostrofano «vaccate», espressione a significato raramente positivo. Una vaccata (in pusc’ciavin «sciota da vaca» o peggio) è cosa poco appetitosa, tanto meno che all’escrezione si spande sporcando tutt’intorno. Anche in senso figurato, chiamare i tuoi scritti «vaccate» sarebbe un complimento dubbioso. Sarebbe «vaccate» forse la parola chiave per accennare che l’adulatoria ironia delle poche righe si vuole più invettiva che lusinga? Il sospetto è ineludibile. Tanto più che le/i mittenti hanno inviato la loro letterina segnandola soltanto di quel «2 PiB in Tenerife». Dunque anonima. Avresti voluto ringraziare per la cartolina, chiedere come intendere le loro apparentemente simpatiche parole. Non potrai. Rimane il sospetto. Cresce ancora quando il tuo sguardo si sofferma su quel finale «abbraccio fortissimo». Francamente, se qualcuno ti vuol del bene, un semplice «abbraccio» ti converrebbe perfettamente. Tutt’al più un «forte abbraccio». Quell’«abbraccio fortissimo» invece ti rammenta il pitone che, cingendo fortissimamente la sua preda, la soffoca per poi ingoiarla d’un pezzo…
Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch