Il Sciur Pibin in tonaca da frate…
Continuano le avventure del Sciur Pibin proposte da Dino Beti di Panisc, che riceviamo e pubblichiamo. La Redazione
Valposchiavo A.D. 2030
«Dunque in convento», mi lancia Brocha, cautamente tirando dal suo zainetto un grosso Novissimo Melzi e ponendolo sul tavolo del mio salotto. «Appena finito quel notturno conciliabolo al Lavéc, il Sciur Pibin si era ritirato in convento, nevvero?»
«Ma chi ti ha detto che il Sciur Pibin era andato in convento?» mi meraviglio sorpreso.
«Me lo hai raccontato tu. Non ti ricordi?» insiste il mio amico. «Prima che scappassi ieri sera per non mancare la corriera per LaScera dicevi che la segretaria del CEO aveva risposto a quel Lucciolo che il Sciur Pibin era in clausura. A casa mia la Marchesina ha cercato “clausura” nel mio dizionario, ereditato da mio papà, guarda, c’è ancora la sua firma.» Brocha punta il dito verso il suo dizionario come se fosse un documento probatorio, «”clausura” vuol dire luogo dove si rinchiudono i frati o le monache. Abbiamo ridacchiato a lungo immaginandoci il Sciur Pibin in tonaca da frate nel convento fra le monache.»
«Il mio dizionario non dice altro, vuoi vedere?» Gli porgo maliziosamente il mio Vocabolario Italiano molto meno voluminoso. «È più vecchio del tuo e firmato dal mio nonno Eugenio Beti 1874, definisce “clausura” come il tuo Melzi. Comunque, quel martedì mattino dopo la Giunta nessuno dei Pippi dedusse che “in clausura” doveva significare “in convento” ma nient’altro che il Sciur Pibin si era rifugiato in un luogo chiuso.»
Il mio amico si mette a rosicchiare la pipa spenta, poi sorride sotto i baffi: «Ma allora perché tutta quell’agitazione se il Sciur Pibin non si era rinchiuso con le Orsoline…?»
Insomma la segretaria, intimidita, non aveva fatto che ripetere a Lucciolo ciò che le avevano intimato il Sciur Pibin e l’ossequioso cancelliere. In tempi normali nessuno se ne sarebbe stupito, talmente si era abituati a lasciarsi dire che il Sciur Pibin non era nel Comune o, quando eccezionalmente vi si trovava, che non si poteva disturbare. Quel martedì dopo la Giunta invece la situazione nel Comune non era quella abituale, il clima politico era in mutazione.
Se il Chalet, aprendo già di buonora, aveva avuto il dubbio onore di primeggiare nel diffondere il vento partigiano levatosi dal Lavéc, altri luoghi non tardarono a concorrere. Dal Meschin a Percosta, i Compatti non trascurarono nessuna occasione di propagare l’ingannevole messaggio concepito dal loro presidente Mondovi, tattico insuperabile. Messaggio semplicista, nitida trilogia per sempliciotti: (a) le finanze del Comune sono gravemente ammalate; (b) moltissimi progetti dovranno essere cestinati e le tasse aumenteranno; (c) la colpa di questa catastrofe è della politica prodiga dei Pippi, sprecona ed irresponsabile!
Lo stratagemma istruiva che lo scenario tripartito era da martellare ostinatamente e ovunque. Luogo prediletto per inocularlo ovviamente le bettole, da sempre il più efficace megafono della propaganda popolare. Appena un Compatto si sedeva a un tavolo rotondo, non c’era più altro tema che valesse. Mondovi e il Sciur Pibin potevano contare sui loro seguaci, e lo sapevano. L’esperienza aveva insegnato ai Compatti la saggezza di sottoporsi alla cieca alla volontà dei loro condottieri e seguire alla lettera le loro direttive. Accaduti reati d’insubordinazione avevano rivelato che le conseguenze erano dolorose per i ricalcitranti, le loro attività, la loro famiglia…
Brocha si è messo a dondolare testa e torso come per annuire ai miei accenni: «Casi di “conseguenze dolorose” come quelle ne ho osservato un paio prima che lasciassi la Valle nel 1999. Me ne ricordo uno di questi Compatti perseguitati dai loro coreligionari che faceva davvero pietà. La rabbia che ne avevo provato mi faceva dire che preferivo gli ottusi ChrisBlochi agl’ipocriti Compatti. Ma ti ho interrotto. Perdonami.»
I due condottieri erano inoltre certi che i loro “agitprop” non si risparmierebbero per inculcare il messaggio mondoviano a tutta la gente. Fra quelli i discreti e nondimeno efficaci Coulino, Santone e Taiadin, il primo sfruttando la rete della Purezia, il secondo abusando della ragnatela Nasiafiar, il terzo lavorando il terreno del ceto contadino. Il più abile era però Pesciolino, uno spavaldo d’immense ambizioni politiche (anni dopo qua e là lo si scherniva “ex-futuro presidente del consiglio scolastico”, non ho mai saputo il perché). Abitudinario dei bar frequentati dai meno di trenta, Pesciolino a tarda notte correva dal Pub Nr.1 al Club 3D passando dal Diana e la Bierhalle, e viceversa a più riprese. Altri “agitprop” si limitavano a esplicitare la rudimentale trilogia concepita da Mondovi. Pesciolino invece si compiaceva in verbosi discorsi nei quali i Pippi scellerati si confondevano con gl’imperialisti cinesi e con l’impatto climatico della globulizzazione (!) sulla fecondità della trota arcobaleno nel lagh dal’Ombra…
Brocha si sfrega lentamente la punta del mento: «Sei sicuro che la tua memoria non ti fa contare frottole? Mi sembra che ora stai divagando e esageri non poco.»
«Affatto», reagisco un pizzico stizzito, «su quella faccenda del 2004 la mia memoria non sballa neanche di un iota. Avevo preso nota minuziosamente di ciò che ne raccontavano nel 2006 concittadini apolitici, critici osservatori della scena socio-politica. Qui sui foglietti “Sciabulinsky e il Cel…” e “la morte del fant” trovi tutto. Persino dove si nascondeva il Sciur Pibin…»
[Immagine della puntata: testa di frate di Teofilo Patini, pittore, Castel di Sangro,1840 – Napoli,1906]
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Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch