I rifugi e i sotterfugi del Sciur Pibin
Continuano le avventure del Sciur Pibin proposte da Dino Beti di Panisc, che riceviamo e pubblichiamo.
La Redazione
Valposchiavo A.D. 2030.
Da quel martedì dopo la Giunta in poi nessuno riuscì a mettere la mano sul Sciur Pibin. Chi, come Lucciolo, telefonava in Cà da Cumün sentiva la segretaria stereotipare con voce robotica: «Il CEO è in clausura. Non può essere disturbato!» C’era chi si rivolgeva al cancelliere. Quello confermava il ragguaglio della segretaria. A seconda di chi chiedeva, magari il fedele servitore osservava che il mastro contabile CEO si immergeva giorno e notte nelle cifre del preventivo 2005, le decomponeva, le rimaneggiava – ogni volta dopo lunghe telefonate con lo specialista della Nasiafiar a SanGallo – per poi rifare i calcoli e ricomporre una versione dopo l’altra del preventivo. Con ammirazione il cancelliere aggiungeva: «Un lavoro da titano!»
Sul vero «dove» del Sciur Pibin due indizi lasciavano presumere che la sua cosiddetta «clausura» si svolgeva davvero nel suo ufficio. Il fant Amanziu, sorpreso a svignarsela nella sua Toyota dalla Cà da Cumün o ritornarvi fulmineamente, bonaccione indicava la borsa a tracolla e pretendeva di portare un panin imbutì e una bottiglietta di vino al Sciur Pibin. L’altro indizio: il suo ufficio rimaneva sempre illuminato durante la notte, senza interruzione…
Brocha scoppia dal ridere: «Ai tempi dell’Unione Sovietica la propaganda diceva che babbo Stalin lavorava giorno e notte per il bene del suo popolo. Per farci credere, la luce nel suo ufficio del Cremlino non doveva mai essere spenta. La sua scomparsa sciolse le lingue e il popolo venne a sapere che, mentre la luce brillava, Stalin si godeva la vita nella sua dacia sul Mar Nero!»
Divertente reminiscenza storica come il mio amico ne sa evocare ad ogni istante, e ci facciamo una bella risata all’idea che il Sciur Pibin, chissà, come babbo Stalin… Poi mi scuoto. Temo che Brocha, alludendo all’imbroglio staliniano, ci faccia deviare su un altro tema delle nostre chiacchierate pomeridiane. Non è infatti raro che ci disputiamo sulla similitudine fra il regime compattocratico alla poschiavina e il regime comunistocratico alla sovietica. Oggi non mi lascio fuorviare. La «clausura» del Sciur Pibin è bensì una vicenda della «morte del fant» ma non è ancora la svolta di quella tragedia.
I Compatti e in particolare i membri attivi nonché arrivisti, creduloni non mettevano in dubbio la versione del CEO rinchiuso nel suo ufficio in Cà da Cumün, affaticandosi per il suo popolo, affannandosi per il suo benessere. I cittadini indipendenti che masticavano politica da parte loro non escludevano simile perfidia dei Compatti. La versione ufficiale pareva loro credibile. I cittadini giovani, disgustati dalla partitocrazia e dal nepotismo rampante dei Compatti, vegetavano già da parecchio tempo in apatia politica e del Sciur Pibin se ne infischiavano in ogni caso.
Comunque, quel blackout d’informazioni imposto dai Compatti stuzzicò l’immaginazione. Le congetture sull’attuale permanenza del Sciur Pibin non tardarono ad alzarsi in volo. Quella, ovviamente ridicola, di qualche burlone – nessuno gli crede ma tutti drizzano le orecchie ad ascoltarlo – che voleva aver intravisto il Sciur Pibin rilassandosi a Bangkok o Amburgo… Quella, piuttosto credibile, di chi voleva aver visto la sua Mazda a LaPresa dove stava forse rigenerandosi presso i suoi. Quella, assai verosimile, speculando che il Sciur Pibin era a casa sua a Sigidorf, paesucolo vicino a Curia, la capitale sulla Plessur.
«Mi sembra che è lì», mormora Barba Brocha, la pipa spenta in bocca, «che il Sciur Pibin si era stabilito con la sua famiglia da quando era emigrato da Poschiavo.»
«Hai buona memoria», concordo con ammirazione. «Si diceva che aveva speso tutta la sua vita di adulto in quel di Sigidorf. Ad ogni modo era persino riuscito a farsi eleggere consigliere comunale, addetto anche lì, si diceva, alla contabilità.»
«Perchè non si era allora fatto eleggere anche podestà nel suo paesucolo di predilezione?» si incuriosisce il mio amico.
«Anch’io me ne ero interessato nel 2006», acconsento. «Mi ero però subito reso conto che il troncamento di quella brillante carriera era un tema tabù! In ogni modo questa questione non preoccupava nessuno nei giorni dopo la “Giünta dal fant” come la gente la chiamò in seguito.»
A non poter accertare dove si trovava il Sciur Pibin per almeno fargli qualche domanda, la curiosità dei Pippi andò spegnendosi. Si sentivano burlati dai Compatti ma erano incapaci di difendersi. Neppure i commilitoni Cameleon e Grantuci erano di qualche soccorso. Benché ambedue consiglieri comunali – uno persino luogotenente – il Sciur Pibin non li considerava granché e li teneva mai al corrente delle sue cospirazioni con i Compatti. Del resto Grantuci, fidato gestore del suo dicastero ma estraneo ad ogni politicizzazione, aveva già assai da battagliare per proteggere le sue imprese contro le numerose rivali e il pullulare dei pretenziosi neofiti in agguato di appalti pubblici. Cameleon, già famoso promotore della Porta Alpina, lui era da tempo immerso nel radon, eroicamente imbastendo la strategia per sradicare quella peste.
Non potendo contare neanche sui loro due commilitoni nel Consiglio, i Pippi cominciavano a disperare… In questo stato d’animo lessero nel Grigione del 27 agosto le poche righe firmate dal Presidente Guedali: «Convocazione seduta straordinaria Giunta deliberazione “progetto nuovo fant” lunedì 7 settembre ore 20h00 in LaTor», aggiungendo: «Importanza progetto presenza tutti membri principali imperativa, anche cacciatori, contravventori sanzionati severamente!»
(*) sedicesima puntata del racconto «Le avventure del Sciur Pibin»
[Immagine della puntata: Stalin (in russo: Сталин, ossia “d’acciaio”; altro pseudonimo Koba, cioé “indomabile”) (Gori, 1878 – Mosca, 5 marzo 1953) é stato un rivoluzionario e politico russo bolscevico, Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e leader dell’Unione Sovietica.]
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Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch