Il maestro Roberto Raselli va in pensione

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Il maestro Roberto Raselli va in pensione

IL BERNINA riferirà nei prossimi giorni della festa di arrivederci ai colleghi che lasciano la scuola tenutasi mercoledì mattina, 10 giugno 2009.

Conosco Roberto fin dall’infanzia. Infatti frequentavamo insieme lo stesso edificio scolastico delle primarie a Le Prese, stipati nelle pluriclassi che a quei tempi erano pure assai numerose e vivaci. Io nutrivo rispetto per i più vecchi perché sapevano parlare bene ed erano più forti. Roberto era uno di quelli. Correva a una velocità pazzesca. Un giorno lo vidi sollevare da terra una sua compagna come se fosse un fuscello. Subito la mia considerazione nei suoi confronti aumentò di molto.

Dopo la sesta, anche se era davvero troppo presto, se ne andò via. Seguì le orme di mio fratello Giovanni, con il quale passò molti anni lontano da casa a studiare greco e latino, nei collegi di Canelli, Beromünster e Disentis. Volevano studiare da prete. A scuola era bravo e prediligeva le scienze umanistiche; nella disciplina scolastica comunque non eccelleva sempre. E chi l’avrebbe detto conoscendolo più tardi. Infatti non disdegnava la vita goliardica e tantomeno il gusto della sigaretta. Poi ottenne la maturità linguistica.

Il collegio per lui era stato la sua seconda casa. E questo fin dalla più tenera età. Infatti le nostre care e buone mamme ci mandavano all’asilo infantile già a tre anni. Anche se a scuola a volte piovevano manrovesci o si finiva per castigo in ginocchio davanti all’altar maggiore o su un pezzo di legno con un profilo tagliente, il nostro cuore batteva sempre e comunque per la scuola. E nel pieno rispetto di principi e comportamento, all’università di Friborgo, Roberto studiò italiano, francese e storia e conseguì il diploma di maestro di scuola secondaria. Il tedesco lo padroneggiava già molto bene perché negli anni dell’adolescenza era stato catapultato dal collegio di Canelli a quello di Beromünster, in terra tedesca, comunque sempre fedelmente nella Famiglia Salesiana. Roberto è un ex allievo di Don Bosco e porta con sè tracce indelebili dell’educazione ricevuta.

All’inizio, anche lui come tanti altri, pianse di nostalgia di casa e per le inevitabili difficoltà di chi si trova improvvisamente a dover masticare una lingua tanto ostica e calpestare terra straniera. Ma la tenacia e la perseveranza ebbero la meglio. Il latino venne a far parte del suo solido bagaglio culturale. Anche i momenti di ansia davanti ai testi greci e latini da tradurre e la versione che non veniva magari fuori subito avevano contribuito a forgiare il suo carattere forte. Tradurre e tradurre, inserire pezzi, aggettivi, avverbi, congegnare espressioni idiomatiche, andare a pescare la quarta accezione del verbo, la quinta dell’aggettivo, lasciare un buco qua e là, chiedere al compagno di banco… Comunque tradurre equivaleva a risolvere problemi. Se mai un canone c’è stato nella cultura occidentale, il latino era al suo centro. Chi lo studiava veniva bollato a vita. È stato il caso di Roberto. La grammatica, la sintassi semplice e complessa, le declinazioni e le coniugazioni erano diventate il suo pane quotidiano. Roberto possedeva un foglio di lavoro per qualsiasi argomento e problemino scolastico. Pure un esamino, una verifica per qualsiasi unità di apprendimento era stata preparata con dedizione e perizia. E la sua aula traboccava di carte e libri.

La competenza linguistica acquisita gli permise di insegnare alle allieve ed agli allievi ad amare la scrittura come espressione dei loro pensieri e come costruzione dei loro discorsi. Anche nel corso di questo suo ultimo anno scolastico mi mostrò con orgoglio più volte le riflessioni scritte dei suoi allievi di preliceale sulla giustizia, sul mistero, su sani e malati, sui vizi umani, nelle opere di Dino Buzzati. E si trastullava in mano i fogli, accarezzandoli come se fossero veri preziosissimi piccoli agognati trofei.

Infatti queste sono le piccole grandi soddisfazioni dell’insegnante che non si limita a fare lezione soltanto in funzione dell’apprendimento di un gretto sapere spendibile esclusivamente sul mercato di lavoro. Roberto sapeva che non basta possedere un po’ di sapere e alcune conoscenze, ma che è necessario anche essere in grado di progettare la propria esistenza, arricchirla di significati, ideali, scopi, e condividerla con altri. Egli ha sicuramente e volutamente fatto studiare ai suoi allievi tante nozioni, assolutamente necessarie per raggiungere le competenze prefissate, ma mai a scapito della formazione e della cultura intesa come strategia di orientamento esistenziale e di autorealizzazione personale.

Un giorno mia figlia venne a riferirmi quasi incredula che il maestro Roberto, nella conduzione della classe, non doveva più richiamare nemmeno gli allievi più petulanti. Infatti tutti facevano semplicemente silenzio e ascoltavano l’insegnante (cosa assai rara ai nostri giorni…). Una spiegazione la trovammo nel fatto che Roberto era un insegnante che si prendeva cura della motivazione ad apprendere dei suoi allievi e che quindi inviava messaggi impregnati di autorevolezza genuina, di calore, di empatia, di desiderio di aiutarli a crescere. Niente urla, all’occorrenza solo un paterno richiamo. Forse anche perché aveva capito che bastava solo incontrare gli allievi come persone, accogliere e rispettare i loro bisogni di conoscenza, prendersi cura del loro processo di apprendimento. E saper coltivare in classe il benessere, l’accoglienza, la solidarietà, la responsabilità.

Roberto credeva (e crede tuttora) in quei valori che l’umanità ha elaborato per conservarsi, per riuscire, per vivere in pace; ai giorni nostri l’universalità degli stessi sembra sia finita, ma senza questi non si può vivere e tantomeno educare. Per educare adolescenti occorre saper cogliere le giuste opportunità per far crescere e realizzare i loro talenti, anche quelli non „spendibili”, come il senso di giustizia, di solidarietà, di verità e di amore.

Impareggiabile rimarrà pure il suo senso di puntualità: mezz’ora in anticipo sul posto di lavoro prima dell’inizio delle lezioni del mattino, abbandono sul secondo per l’intervallo di mezzogiorno.

La fedeltà di Roberto per la scuola è stata un raro ospite nelle superiori. Come dice il proverbio „se ti capita in casa, non lo lasciar più uscire”, noi abbiamo tentato di dissuaderlo dall’abbandonare già adesso la scuola, ma alla fine hanno prevalso le sue sagge motivazioni. Per nulla attratto dalle lusinghe esterne, egli ha dedicato la sua intera vita alla scuola. Se nel calcolo finale sommiamo anche gli anni della scuola dell’infanzia, ebbene, Roberto ha frequentato in veste di allievo e di insegnante ben 59 anni scolastici consecutivi. Trentasette quale insegnante di scuola secondaria: uno a Scuol, gli altri a Poschiavo.

Ora lui se ne va in pensione. Vederlo buttare le sue sudate carte e tanti suoi libri consunti nel cassonetto della carta destinata al macero ci ha fatto male. E ci è parso di perdere qualcosa di veramente prezioso per la nostra scuola e per il collegio insegnanti. Abbiamo tentato, come già detto, di trattenerlo, ma lui con un sorriso ci ha fatto capire che non teme di voltar pagina e che già si rallegra del buon tempo di cui potrà godere.
E allora noi lo ringraziamo di cuore per tutto quello che ha dato alla scuola, per la sua collegialità, la sua amicizia e la sua generosità e gli auguriamo tanta salute, serenità e ancora tanta laboriosità.

Redatto da Livio Luigi Crameri – livio.crameri@bluewin.ch