La pulenta dei PiB e la ”taragna» dal Sciur Pibin
Continuano le avventure del Sciur Pibin proposte da Dino Beti di Panisc, che riceviamo e pubblichiamo.
La Redazione
Valposchiavo A.D. 2030.
Invece di accomiatarsi, Brocha rimane seduto. Vuole conoscere la vera fine della triste faccenda…
«Forse sarebbe più giusto», ammetto, «dire che sono stati in quattro a causare la rovina del Gargati. In ogni modo in tre a contribuirvi a scopo egoistico.»
«Che interesse avevano quei quattro, o tre che dici», esclama Brocha, }«a sbarrare al Gargati la via del rimpatrio al suo paese natio?»}
Quanto al kapotencol Röbiuili, lui non era personalmente ostile al Gargati. Ovviamente fu influenzato dai suoi subalterni Silvamari e Sciabulinsky che aveva sondati. Ovvio che al Sciur Pibin non si era privato di insaponarlo quel venerdì al «Marzulìn». Röbiuili aveva nondimeno agito in buona fede, non per nuocere al Gargati del quale diceva peraltro apprezzare il lavoro.
Il kapotenent Silvamari da parte sua aveva un ineluttabile motivo. Era responsabile della kapo Engadina Alta e Valposchiavo. Voleva tener libero il posto nella squadra del suo collega Sciabulinsky poiché aveva promesso al papà di Snüffeler, suo cognato, di procurare al figlio un posto ben pagato. Per mantenere la promessa doveva tenere il Gargati lontano dalla kaposquadra Valposchiavo. E tanto meglio se ne approfittava anche il suo caro Sciabulinsky!
«Dunque avevo capito giusto», si drizza su soddisfatto il mio amico. «Sono effettivamente stati due stranieri a rovinare il compaesano Gargati!»
«Rovinato da due stranieri, quello sì», mi affretto a chiarire, «ma non da quei due che hai capito tu. I malefici ostruzionisti al rimpatrio del nostro compaesano Gargati furono quei due altri stranieri, al Sciur Pibin e Sciabulinsky! Se quei due perfidi non fossero riusciti ad infinocchiare Röbiuili, lui avrebbe accolto la richiesta del Gargati e lo avrebbe trasferito in Valposchiavo.
Senz’altro spiegabile l’avversione di Sciabulinsky verso il Gargati. Per lui, rimasto straniero e mal integrato nel nostro Comune, il genuino figlio del paese appariva come un rivale. Tanto più che Gargati poteva comunicare in pusc’ciavin con la gente indigena e ne conosceva intimamente la mentalità. Sciabulinsky temeva che Gargati gli facesse concorrenza persino presso il capo supremo Röbiuili, magari gli portasse via la promozione alla quale anelava da decenni…
Brocha sospira, la faccia corrucciata: «Ora però mi fai languire con il tuo trattenere ostinatamente le ragioni della feroce abiezione del Sciur Pibin.»
«Non mi ostino affatto», chiedo scusa all’amico, «ma le ragioni del Sciur Pibin non erano mai evidenti senz’altro. Comunque, incuriosito, avevo indagato un poco sulla parte presa dal Sciur Pibin nella «mort dal fant». Ne avevo parlato con compaesani che lo conoscevano fin dalla nascita, con dei suoi maestri, con politicanti che lo avevano frequentato a Prada e a Sigidorf…»
Il caso del Sciur Pibin era complesso. Una chiave di comprensione me l’aveva data lui stesso nel 2006. In uno dei suoi momenti di «in vino veritas» aveva vociferato che non era venuto a fare il CEO per amore della nostra gente né per interesse al Comune. Che i suoi motivi erano personali, di natura privata, aveva insistito. I compaesani da me indagati ne rintracciavano l’origine nella sua infanzia e gioventù. Piccolo, grassottello, non ultraeminente in scuola, i compagni si divertivano a burlarlo, le ragazze a snobbarlo. Ne germinò un complesso d’inferiorità, condensando cupa vendicatività nel Sciur Pibin: «Presto o tardi ve la farò vedere a voi seccatori!»
Nel 2001 al Sciur Pibin, residente a Sigidorf, venne a sapere che i Compatti disperavano di scovare un correligionario disposto ad assumere la carica di CEO nel nostro Comune. Colse la palla al balzo. Le prospettive erano troppo belle di dimostrare ai suoi persecutori che aveva della stoffa più di loro. E di sfruttarli, loro e tutto il Comune per accaparrarsi vantaggi politici che il consiglio comunale di Sigidorf non gli potrebbe mai offrire.
Le occasioni di sfogare la sua vendicatività non mancarono…
«Una di quelle, m’immagino, fu la sua feroce condanna del Gargati», propone l’amico Brocha, «ma perché proprio il Gargati?»
Nessuno seppe mai dare risposta plausibile. Tutt’al più: per sfogare pienamente la sua sadica propensione, il vendicativo Sciur Pibin doveva poter riscoprire le impronte del suo misfatto sulla faccia della vittima ogni volta che la incrocerebbe. Gargati in cerca di un impiego dipendente da lui gli arrivò a proposito, tanto più che ogni tanto si incontravano qua e là.
Nel 2005 fui per caso testimone dell’irresistibile propensione del Sciur Pibin a vendicarsi. L’ultimo venerdì di luglio ero a Poschiavo per il taglio di capelli dal mio barbé Ilario. Il giorno dopo presi parte al tradizionale «Incontro di Cavaglia». Tutti si gustarono la pulenta e strachìn, dopodiché al Sciur Pibin servì la sua «taragna»: tutto ciò che ne rendeva la strozzante pulenta nera succulenta era opera del suo ingegno ed impegno, al bütér e furmac gratù, li fleti da salam, da caulonza e murtadela. Più le pupille dei suoi co-bulgiastri ed indigeni Compatti scintillavano di ammirazione, più lui persisteva nell’incensarsi. Parlò di tutto ciò che intendeva ancora realizzare. Progetti esaltanti, destinati a creare posti di lavoro remunerativi. Stava per chiudere l’arringa quando scorse, a uno dei tavoli discosti, il Gargati con suo papà. Malvagio, la coda dell’occhio sbirciando quel tavolo, al Sciur Pibin sogghignò: «Nell’ambito della creazione di posti di lavoro il mio più sentito desiderio è di spianare la strada del rimpatrio al paese natio ad un genuino figlio del paese ed alla sua famiglia ora condannati a vivere in terra straniera!» Sconvolti da tanto genio, i suoi co-bulgiastri ed indigeni Compatti, ignari ma beati, l’applaudirono strepitosamente!
(continua)
Redatto da Dino Beti di Panìsc – dino.beti@bluewin.ch