Il “saluto di gratitudine”

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Il “saluto di gratitudine”

Giacomo 1.16 – 27

1:16 Non v’ingannate, fratelli miei carissimi; 17 ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’é variazione nè ombra di mutamento. 18 Egli ha voluto generarci secondo la sua volontà  mediante la parola di verità , affinchè in qualche modo siamo le primizie delle sue creature. 19 Sappiate questo, fratelli miei carissimi: che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira; 20 perchè l’ira dell’uomo non compie la giustizia di Dio.
21 Perciò, deposta ogni impurità  e residuo di malizia, ricevete con dolcezza la parola che é stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre.
22 Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. 23 Perchè, se uno é ascoltatore della parola e non esecutore, é simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; 24 e quando si é guardato se ne va, e subito dimentica com’era. 25 Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioé nella legge della libertà , e in essa persevera, non sarà  un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica; egli sarà  felice nel suo operare.
26 Se uno pensa di essere religioso, ma poi non tiene a freno la sua lingua e inganna sè stesso, la sua religione é vana. 27 La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre é questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal mondo.

Cara comunità, permettetemi di chiedervi il motivo della vostra presenza. Che cosa vi ha fatto scegliere di passare l’ultima domenica di agosto in un culto? Perché non siete su un sentiero o su un maggese a godervi l’ultimo solo di agosto? Forse sei qui per abitudine: è quello che “si deve fare” la domenica mattina. Forse perché ti senti solo o perché senti qualcosa di sbagliato o mancante nella vita. Forse perché speri che qualcosa qui dentro possa cambiare qualcosa qui, nel cuore. Nessuno di questi motivi è sbagliato per essere al culto. La ragione base per cui i cristiani si radunano è però: rendere un culto a Dio per ravvivarsi. Adoriamo Dio affinché ci rigeneri come sua primizia e per accorgerci della sua presenza e potenza nel mondo, nella nostra vita, in ogni cosa che vediamo facciamo e sentiamo. Ecco il motivo del culto cristiano.
Ogni culto o atto religioso dovrebbe farci “addrizzare” la schiena, scuotere la testa e concentrarci sull’incontro con il divino. È rispondere con grata meraviglia alla sua presenza. Quando però recitiamo la routine giornaliera senza riflettere perdiamo coscienza delle meraviglie intorno. La meraviglia della creazione, dell’amore, della famiglia, di inspirare ed espirare, sì della vita. Uno scrittore disse: il mondo perirà non per mancanza di meraviglie ma per non sapersi più meravigliare. Il testo odierno è della lettera di Giacomo che Martin Lutero chiamò “l’epistola di paglia” perché “ci porta alla legge e alle opere”. Il suo giudizio ha dato a molti la “licenza ignorarlo”. Saltandolo però perdiamo degli insegnamenti per la messa-in-pratica della fede. Il suo primo messaggio oggi è ricordare che da Dio vengono solo cose buone. Non abbiamo fatto nulla per “guadagnarci” i doni che il Signore fa piovere su noi. Dobbiamo solo prenderli. Dio è il Donatore. Tu ed io siamo i destinatari. E questo già non ci piace perché preferiamo dare piuttosto che stare nella condizione di ricevere. Che fai quando qualcuno ti fa un dono? A meno che non sei inseguito dai lupi dici: grazie. Già da piccoli si insegna a dire grazie. Dopo l’attesa festa di compleanno si scrivono dei “biglietti di ringraziamento” ai nonni, zie e zii, cugini e amici. Il culto è il tempo di prestare attenzione, accorgerci della presenza di Dio nella nostra vita e dirgli “grazie” per essere arrivati qua.
La mera presenza al culto non è un vero “grazie”. Una volta “prestata attenzione” a quello che il Signore ha fatto e sta facendo per noi per mezzo dello Spirito Santo, c’è bisogno di un ulteriore passo. Qui Giacomo diventa duro. Il solo ascoltare la Parola non ci rende cristiani. Ciò che si legge e si ascolta davanti a Dio va poi vissuto fuori. Ti guardi nello specchio e poi dimentichi com’eri! Egli chiede a tutti noi che rivendichiamo il dono della salvezza di essere dei “esecutori” e non solo degli “uditori” della Parola. Se la verità del Vangelo di Cristo è stato impiantato in noi, allora “concretizziamo” certe cose. Le direttive di Giacomo su “cosa fare” sono precise. Pronti?

  1. Tieni a freno la tua lingua. O come la mamma usava dirci: morditi la lingua o conta fino a dieci prima di parlare. In altre parole, stai attento a quello che dici e come lo dici. Non lasciare che la prima cosa che ti salta in mente salti fuori dalla tua bocca. Non parlare se la rabbia è il solo propellente che hai per liberarti dei pensieri. Scegli le tue parole lentamente e attentamente. Nei Proverbi si legge: Hai mai visto un uomo precipitoso nel parlare? C’è più da sperare da uno stolto che da lui. (29:20) ed ancora: Chi sorveglia la sua bocca preserva la propria vita; chi apre troppo le labbra va incontro alla rovina. (13.3). Sii il tuo unico e migliore editore, filtrando dolore e odio, invettiva e vendetta, uncinate frecciate e tutto l’armamentario di parole. Non si fa il volere di Dio con l’ira umana. Essere un esecutore implica più del solo “moderare la lingua”, richiede anche di:
    1. Prestare attenzione agli altri. Dare attenzione ai più fragili, ai deboli, agli indifesi. Giacomo cita il mandato dell’AT di “soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni”. Salmi 68:5: Dio è padre degli orfani e difensore delle vedove nella sua santa dimora. Gli orfani e le vedove non avevano un capo della casa per proteggerli e alcuno stato sociale riconosciuto. Difficile avere un lavoro, la povertà normale, essere senza casa lo standard. Questo a meno che la comunità interveniva. Vuoi ringraziare il Signore per il dono della salvezza? Allora “salva” la vita degli altri, specialmente dei più fragili, indifesi, vulnerabili fratelli e sorelle che vivono nel mezzo della comunità e tuttavia sono tenuti, in qualche modo, ai margini.
  2. Secondo Giacomo gli “esecutori” devono mostrare al mondo la grandezza della propria gratitudine. La gratitudine deve prendere forma. Il culto riformato è stato chiamato “siedi e assorbi”. I presenti sono incollati alla panca, annaffiati dalle letture dalla musica e dal messaggio dal pulpito. In che modo possiamo esprimere “grazie” a Dio? Il culto dei pentecostali coinvolge il corpo, la mente e lo spirito. La tradizione dei cattolici romani e degli ortodossi usa “profumi, campanelli e cantilene” che ritmano l’adorazione spargendo nell’aria un intenso profumo di incenso e scampanellii che annunciano la presenza divina, si inginocchiano per pregare, fanno il segno della croce, si scambiano il segno della pace. È vero che noi abbiamo difficoltà con i riti esteriori, però, nell’intenzione originaria sono dei gesti del corpo che risaltano dall’ordinario e rialzano lo spirito alla stupefacente presenza divina. Nella sinagoga, nel giorno della Simchat Torah la congregazione celebra il dono della parola di Dio. Tenendo in alto i rotoli della Tora, i presenti danzano ridono piangono gioiscono, accolgono il dono di Dio, celebrando la vita “mettendo in pratica” la Tora.
    Forse non siamo pronti a sventolare la nostra Bibbia sopra le teste e danzare insieme in circolo. Ma dobbiamo trovare un modo per mostrare riconoscenza a Dio per la pienezza di doni che c’è nel nostro mezzo. Ecco un’idea. Una volta, per ricordarsi di qualcosa si annodava il fazzoletto. Era un segnale che mandava un impulso alla memoria di accendersi e ricordare. Oggi usiamo il pc, i telefonini smatphone, blueberry, pda per richiamare la nostra attenzione. Negli ultimi anni è cresciuto negli USA un movimento popolare conosciuto come “il saluto di gratitudine”. Scott Truitt chiamò così il segnale escogitato per ringraziare il personale militare di ritorno dall’Iraq o Afghanistan. (https://www.youtube.com/watch?v=MSfFYxSdKdo) È semplice. Si guarda il soldato negli occhi, mettendo la mano sul cuore, poi portandola in basso e in avanti con il palmo aperto. Questo permette a chi vuole di dire “grazie” in modo personale e profondo senza dire una parola. La gratitudine è un’azione, un gesto non solo una parola. Sappiamo tutti che è difficile farla affiorare. Truitt spera che le persone useranno questo “segno” non solo per i militari di ritorno, ma per dimostrare gratitudine a persone che hanno compiuto qualcosa di utile, vero e bello. I cristiani devono offrire a Dio un “saluto di gratitudine”, non solo come singolo gesto, ma con l’intero nostro corpo, mente e spirito, con l’intero essere. Un saluto di gratitudine rivela un cuore aperto e ricolmo. Un cuore che trabocca fuori nella direzione degli altri. Un cuore trapiantato con la Parola di Dio.
    Il saluto di gratitudine è fatto in silenzio… Così teniamo a freno la nostra lingua. Il saluto di gratitudine è fatto con mano aperta che si apre verso gli altri, così ci prendiamo cura degli altri. Il saluto di gratitudine è fatto in stupore per il Signore. Possiamo esprimere la nostra gratitudine a Dio questa mattina con il saluto di gratitudine? Facciamolo insieme.
    Ora, una cosa in più. Vi chiedo di andare da qualcuno qui questa mattina per cui sei particolarmente grato dei suoi doni per la comunità e al tuo vicino e dargli il saluto di gratitudine.
    Il Signore ci guidi e ci accompagni. Amen.

Appunti per la predicazione del past. Antonio Di Passa

Redatto da Antonio Di Passa – antonio.dipassa@gr-ref.ch