La lampada dal sciur Lurenz

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Siete già stati turbati da una lampada dell’Ikea?
Ecco a voi la terza moneta di Roberto Nussio, che da una lampada passa per petti pelosi, farmaci…




La lampada dal “sciur Lurenz”

Le emozioni? Magari spuntate nel modo di consumare?

Tanti anni fa, ero un ragazzotto e fuori pioveva abbondantemente, non avevo trovato nulla di meglio da fare che giocare a palla in fondo alle scale e davanti all’atrio di casa. Apriti cielo. Una mia vecchia zia mi lesse i “leviti”: “Mi rompi la lampada dal ‘sciur Lurenz’ “. Lì per lì pensai fosse un amico della mia parente e ci ricamai sopra anche una piccola storia che mandò su tutte le furie la diretta interessata.

La realtà era un’altra e la capii solo più tardi. Tra Lurenz e mia zia esisteva una relazione di stima, di fiducia e di simpatia reciproca. La lampada non era solo un congegno per far luce ma puramente il frutto di un assemblaggio fatto a regola d’arte da un artigiano locale. Quando la accendevi, non era una lampada qualsiasi ma esattamente quella lampada, con le emozioni emanate dalla relazione e non tanto dal design.

Questa, a onor del vero, era di una certa eleganza sobria: un tubicino di ferro piegato con grazia, attaccato allo stesso un ricciolo di ferro appiattito, e in mezzo ai due, un filo attorcigliato a forma di fuso rivolto al basso. Una protezione aggraziata in vetro della lampadina, il tutto attaccato a un volano smaltato in bianco per riflettere meglio la luce e la lampada era tutta lì. Quello che contava, oltre ad una certa civetteria, erano le emozioni emanate dalla relazione con la persona che l’aveva prodotta.

La lampada dal sciur Lurenz


Siete già stati “turbati” da una lampada dell’Ikea? Mah, non vi passa nemmeno lontanamente per la mente! Sono prodotte a migliaia in stabilimenti dove il nome degli impiegati è sparito. Queste persone, ognuna con la sua storia, sono diventate della forza lavoro, delle risorse umane, interscambiabili, da ricordare, forse, durante le feste aziendali, come l’”assett” più importante dell’azienda.

Questo tema non è forse, a volte, “spuntato”? Ikea, come le altre grosse aziende, ha capito però qualche cosa d’altro.

Suscita emozioni con i suoi prodotti. Fa sognare alle giovani ragazze il loro primo nido d’amore fuori dalle pareti domestiche a prezzi contenuti. Ai maschi invece, ravviva il piacere di tenere in mano cacciaviti, trapani e martelli e sentirsi, in questo modo, dei paladini dei loro piccoli appartamenti. In questo modo ci si lascia andare con piacere e si unisce l’utile con il dilettevole.

Questi sono i richiami emotivi, creati, suggeriti e propinati con grande maestria da artisti e geni della comunicazione. È il loro modo di guadagnare il giusto “pane quotidiano”.

Chi “ci casca” in questi richiami fa da traino pure su chi non ci è ancora cascato, ma lo frequenta, lo stima e lo ascolta. In questo modo a volte un vero lavaggio del cervello, il “circolo vizioso” è perfettamente messo in movimento. Circolo che diventa “virtuoso” per chi lo propone.



Ed il Mulino Bianco? Lo percepisci come una garanzia per i “tuoi” bimbi: come se provenisse dal giardino dell’Eden!

Ed il profumo che si presentava con quella bellissima mano di donna che apre il bottone di una camicia d’uomo dal petto abbronzato e levigato? Beh, insomma: magari uno ci sogna. Pure se è peloso.

E quando perfidamente giocano sulle nostre paure? Stile sicurezza e salute? Provate a cliccare “iperattivi Novartis”, quindi cercate “volume d’affari Ritalin”. Rimarrete stupiti in tutti i sensi.

È la solita moneta con le due facce.

Da una parte i consumatori dall’altra chi vende accompagnato da truppe di chi produce (loro stessi consumatori), e legioni di creativi, clienti pure loro (che ti realizzano delle cose a volte di una bellezza stupenda, direi artistica), i quali t’invitano a spendere, a consumare. Facendoti credere di essere quello che magari non sei!

Spendo dunque sono altro che cogito ergo sum (io penso, dunque sono).

Magari m’indebito pure per raggiungere l’obiettivo di avere un qualsiasi bene di consumo o bene durevole: subito, possibilmente “ieri”.

In questo caso faccio quel fatidico passo che ti porta da un’economia sana a una basata sulla finanza (altrui): a un’impostazione che mi rende schiavo dei miei desideri, adattato, invischiato, senza la possibilità di alzare la voce in modo credibile.

Non basta più l’acquisto per bisogno, per convenienza, per piacere, per togliermi lo sfizio, per non essere di meno, per essere differente (e poi ti trovi con chi ha “dovuto” fare le tue “scelte”), per essere più elegante, alla moda, raffinato, per mostrarmi, per piacermi, per civetteria, per impulso, per “farla” all’altra o l’altro, per sentirmi libero, per paura, per frustrazione e tutte le combinazioni di questi motivi: no!

Tu devi acquistare affinché tu possa continuare a vivere allo stesso livello che conosci. Ti è suggerito! Ah sì? E gli effetti collaterali dove li mettiamo?

Ma come stiamo infine con la tanto decantata efficienza del mercato. Esiste o solo dal punto di vista dei soldi?

Conoscete tutti il turismo della mozzarella. Del latte olandese che va in autocarro in Italia e ritorna a nord lavorato (e noi ci becchiamo l’inquinamento e il traffico). Dei jeans cuciti in Vietnam (per quattro soldi) con cotone indiano (pagato tanto da lasciarli vivere), sabbiati in Marocco (e quello, poveraccio, si prende la silicosi), con il marchio US (che incassa i diritti) e il distributore CH con i suoi negozi affiliati che pure loro ci lucrano come chi li ha trasportati per il mondo? A ogni passaggio, una “mungiturina” (chiamato valore aggiunto), un inquinamento con i relativi danni alla salute, con spostamenti di capitale che poi finiscono giustamente (ottimizzazione fiscale permessa) dove si pagano meno imposte.

Ci dicono, in questo modo si aumenta il PIL (prodotto interno lordo). Dopo tutto il PIL serve a conoscere la nostra ricchezza! E tutti si aggrappano a questa “convenzione economica”. Purtroppo però, questo parametro calcola pure, poiché li somma, i costi dell’inquinamento, della salute, di possibili crimini (come il riciclaggio), e tant’altro che incide negativamente sul nostro “benessere” non inteso come misura economica.

Il mondo gira in questo modo e noi facciamo finta di sentirci tranquilli e soddisfatti. Non è appropriato guardare dietro l’angolo: in pratica “una schifezza”.

Leggete, se l’argomento vi interessa, il discorso di Robert Kennedy tenuto il 18 marzo 1969 (!) alla Università del Kansas. Nulla è cambiato al riguardo.

Siamo infine convinti, ed è pure vero, che le briciole come pure pezzi della torta da spartire, arrivano un po’ dappertutto. Va ricordato (curva di Lorenz per la CH) che il 40 % della popolazione, i meglio situati, guadagna il 70% del disponibile. Paradossalmente, ma non tanto perché è così da quando esiste la storia (al di fuori di piccole eccezioni), la maggioranza dispone “solo” del 30% di quanto si guadagna da noi, di cui una parte può essere spesa. Pensate gli altri nel resto del mondo.

La buona notizia però è che i più possono incidere molto sul mercato, sul benessere e sostenibilità di un paese e sui comportamenti di chi “vende”: perché i numeri contano. Anzi, le strategie di marketing si basano sui profili e il numero delle persone che rappresentano.

Consumando meno? Beh, evitando gli sprechi, di sicuro. Altrimenti no di certo. Consumando con conoscenza di causa. Con coscienza, con gli occhi aperti e responsabilità verso gli altri, ma pure verso noi stessi e chi ci seguirà. Non mancano le informazioni al riguardo.

E le belle pubblicazioni in carta patinata? I richiami di coloro che ti suonano il violino e il flauto a traverso vicino alle orecchie? Gli spots accattivanti? Godiamoceli tutti, rendono la vita interessante ma non seguiamoli come i topi del pifferaio di Hamelin. Vedrete che in poco tempo, appena sapranno cosa vogliamo, se abbiamo le idee chiare, cambieranno registro pure loro. Non per niente si continuano a fare delle inchieste sui comportamenti dei consumatori. Sta a noi.

Ve lo diamo noi il vostro “sciur Lurenz” sintetico!

E questa era la terza moneta.

Quest’inverno delle altre? Chissà!

Roberto Nussio