Il Maragià dalle tredici mogli che amava il valzer

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‘L punt del Vàlzer del trenino del Bernina
È riapparso. Guardandolo dai verdi prati di Brusio il ponte elicoidale ora fa da candida aureola alla conca di Tirano.


La sua pietra, i suoi archi con il passare degli anni (più di cento) erano divenuti color cioccolata. Il tempo poi aveva fatto il suo lavoro d’invecchiamento alla struttura. La creazione di fuliggine ferrosa dovuta allo sfregamento delle ruote del treno con i binari aveva (con forse un milione di convogli transitati) reso le pietre del ponte color marroncino. Il simbolo delle Ferrovia Retica doveva essere restaurato. Ora, dopo il restauro iniziato il 17 maggio 2011, il viadotto di Brusio è tornato in questi giorni in splendida forma.

Prima del restauro


A me piace chiamarlo ponte del “giro di Valzer” del Trenino del Bernina per il motivo che trenino rosso e ponte sembrano abbracciarsi in una lenta e affascinante evoluzione danzante.

Quel viadotto elicoidale costruito per superare la forte pendenza della ferrovia del Bernina nei pressi di Brusio è stato reso celebre, oltre che per la sua slanciata bellezza, anche per i numerosi eventi in occasione del centenario della ferrovia del Bernina. Ora è diventato una location dell’eccellenza e motivo di leggenda.

Nei giorni del restauro la struttura si era vestita di un manto rosso. Ogni volta che passavo appresso ero assalito dal desiderio di vedere il risultato di quel “restauro- maquillage”. Il mio desiderio cresceva di giorno in giorno. Quel manto rosso in cui era avvolto durante il restauro era un sipario che aspettavo si aprisse. In questi giorni finalmente ho potuto vedere il ponte. Una meraviglia, e come mio solito vizio mi sono lasciato prendere dai ricordi.

Dopo il restauro

Se non tedio troppo vorrei dunque raccontarvi una storiella di quel ponte che sentii raccontare da ragazzo. Nel 1910 quel ponte era “nuovo di pacca” e aveva stupito mezzo mondo per la sue linee architettoniche e per la sua arditezza. Prego vogliate seguirmi.


Il Maragià che non voleva girare la testa

Tanti e tanti anni fa, giunse a Tirano un Maragià con il trenino a vapore della FAV. Allora i facoltosi personaggi si recavano a S. Moritz per la villeggiatura. Sceso dalla carrozza si accorse che il suo bianchissimo abito era tutto macchiato di fuliggine uscita dalla ciminiera della locomotiva, la stessa sorte toccò alle sue tredici consorti e a tutta la delegazione, ma non disse nulla. Amava troppo la Valtellina per lamentarsi e ogni anno, dopo aver soggiornato per tre giorni al Grand Hotel Tirano e aver assaggiato il chisciöl cucinato divinamente dal cuoco Méngu, il facoltoso Maragià proseguiva il suo viaggio verso S. Moritz con la diligenza.

Ponendo fede al racconto del Méngu, il Maragià in questione amava molto il valzer ed era uno dei motivi per cui si recava in Svizzera e in Austria, dove passava notti intere a volteggiare con le sue leggiadre mogli.

Il Maragià era eccentrico nei modi di fare e aveva una stranezza; quando era seduto, non desiderava girare il capo per guardarsi intorno e se occorreva farlo bisognava girare le cose intorno a lui, fosse magari anche il mondo intero. Inoltre era di una sensibilità eccezionale e se un luogo gli piaceva, provava immenso dolore a lasciarlo e quando lo lasciava doveva salutarlo con la manina come fanno i bambini, inoltre amava gli abiti bianchissimi e detestava la fuliggine delle locomotive.

Nel 1907 quando i tecnici svizzeri progettarono la Ferrovia Retica del Bernina tennero in considerazione, ovviamente per non perdere un facoltoso cliente, tutte le eccentricità del facoltoso Maragià. Tennero in considerazione che amava il valzer, tennero in massima considerazione la sua sensibilità, il suo dolore nel lasciare l’Italia quando si recava a S. Moritz, infine decisero che gli abiti del Maragià e delle sue mogli dovevano rimanere bianchi e immacolati per tutto il viaggio.

Passarono notti intere a tavolino per risolvere questi quesiti e alla fine ci riuscirono. I bravi tecnici svizzeri progettarono, a pochi chilometri dal confine e a distanza tale che si potesse vedere ancora la vallata italiana, un ponte in pietra bianchissima, su esili arcate, di forma elicoidale in modo che il treno potesse girare nel suo percorso con un angolo di 360 ° e desse la sensazione di volteggiarsi in cielo danzando il valzer. Decisero che la locomotiva dovesse essere a trazione elettrica e non a vapore.

Quando nell’estate del 1910 il Maragià ritornò in Valtellina, il Méngu lo accompagnò con il suono della fisarmonica fino a S. Moritz. Raccontò che il Maragià seduto sulla prima carrozza, quando giunse a Campocologno pianse nell’abbandonare l’amata Italia ma, come sua consuetudine, non si girò mai verso la frontiera. Pianse a dirotto fino a Brusio, ma quando il treno girò ad anello sul ponte ed ebbe modo di vedere ancora l’Italia e il bel Santuario della Madonna di Tirano sorrise e con la manina ingioiellata salutò felice l’Italia.

Il Maragià domandò al Méngu cosa fosse successo al treno per aver volteggiato in aria come una libellula e lui gli rispose : “Maestà il treno ha fatto un giro di valzer per voi, per farvi felice e perché Sua Grazia potesse dare l’ultimo saluto all’Italia sporgendo la mano con abito immacolato.”

Fu un delirio di gioia per il Maragià e il suo seguito! Da quel momento il treno del Bernina fu famoso nel mondo e lo fu per quel giro di valzer, per il suo incedere quieto e silenzioso tra la bellezza della natura.



Questa è la “ storiella “ che sentii raccontare e che, nella sua semplice e ingenua espressione, può far amare anche un ponte in pietra che nulla ha di umano ma che può parlare anche attraverso le pietre ai posteri come opera d’arte, di bellezza e di ingegno dei nostri padri.

Ezio Maifrè