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IL BERNINA ha intervistato Gianluca Olgiati, giornalista RSI, che ci racconta la sua esperienza alle Olimpiadi di Sochi.
Di Sochi rimarranno impresse le gesta sportive di Dario Cologna, di Evelina Raselli e di molti altri atleti svizzeri e non. Mentre tutti si occupavano di gare e record da battere, tu gettavi uno sguardo su ciò che stava attorno agli stadi. Cosa non potrai dimenticare?
Tra le molte cose, la grandiosità dell’evento, nel bene e nel male. Il parco olimpico in riva al Mar Nero con i suoi stadi modernissimi: per alcune settimane gioielli tecnologici e palcoscenico del grande sport, ma che ora rischiano di diventare cattedrali nel deserto. E poi le spettacolari cerimonie di apertura e chiusura, con tutto il peso della storia e della cultura russa, e con le note dell’inno russo che fanno venire la pelle d’oca. Voglio ricordare queste emozioni, così come ricorderò i miei colleghi giornalisti sportivi – molti dei quali inizialmente scettici nei confronti dell’hockey femminile – esultare sugli spalti dello stadio Bolshoy per la medaglia di bronzo della nazionale svizzera.

C’è invece qualcosa che vorresti poter scordare?
Scordare no, ma che avrei preferito mai dover vedere sì. Il volto nascosto di questi giochi olimpici, quello che la Russia di Putin non ha voluto mostrare al mondo. Discariche abusive, terreni, boschi e fiumi stravolti dai cantieri olimpici, famiglie sfollate e trasferite in case che già dopo pochi mesi hanno cominciato a sgretolarsi. E a pensarci bene forse vorrei scordare i 50 miliardi di franchi spesi per quello che è e rimane un evento sportivo, un grande spettacolo, un party di alcune settimane la cui eredità è incerta.

Sono state Olimpiadi molto discusse anche per le misure di sicurezza adottate. Quanto hai percepito dei metodi di controllo all’interno del gioioso clima olimpico?
L’atmosfera olimpica un po’ ne ha risentito, non tanto perché le misure di sicurezza impedissero di festeggiare, ma perché molti tifosi stranieri hanno preferito rinunciare alla trasferta a Sochi e quindi la gran parte del pubblico era costituita da russi, mentre mancava un po’ il mix di bandiere e nazionalità che contraddistingue le olimpiadi. Detto questo, i timori della vigilia per eventuali attentati sono stati smentiti dai fatti. E la presenza di poliziotti e soldati era sì imponente, ma era anche per quanto possibile discreta e non ha reso impossibile il nostro lavoro, anzi era una garanzia di sicurezza anche per noi.

Dopo aver vissuto le olimpiadi invernali di Sochi, credi che sia fattibile la realizzazione per il nostro cantone di una prossima edizione dei giochi olimpici?
Sicuramente non in questa forma. La tendenza delle ultime edizioni olimpiche è quella di aumentare il numero di atleti e di discipline, e tutto questo richiede soldi e infrastrutture. Certo, a differenza di Sochi, in Svizzera non si partirebbe da zero, ma si potrebbe contare su strutture in buona parte già esistenti. Nei Grigioni si vorrebbero organizzare olimpiadi invernali più a misura d’uomo, ma al momento il Comitato Internazionale Olimpico non sembra intenzionato a farlo. Eventi del genere possono essere organizzati solo se c’è una forte adesione popolare al progetto, e qui nei Grigioni si è visto che ciò non è il caso. Meglio accantonare l’idea per un po’.

Hai partecipato a Sochi. Quale sarà il tuo prossimo grande appuntamento? Magari i mondiali in Brasile?
Partirei oggi stesso per il Brasile, ma non sono l’unico a volerlo fare. Per questi grandi eventi sportivi la radio RSI invia di solito un solo redattore incaricato di occuparsi di tutto ciò che fa da corollario alle competizioni, quindi credo che poter andare a Sochi è stato un privilegio e per qualche anno cederò il passo ai miei colleghi.

[Foto concesse da Gianluca Olgiati]