L’opinione di Martin Candinas
Lo scorso mese di aprile il Gran Consiglio ha approvato la Legge sulla riforma territoriale. Contro questa decisione – caso che si è ripetuto soltanto in un’altra occasione nel nostro Cantone – è stato lanciato sia un referendum popolare, sia un referendum dei Comuni. Il 30 novembre la popolazione sarà dunque chiamata ad esprimersi sul tema.
La mia esperienza personale mi porta a dire un NO convinto a questa riforma. Il mio impegno politico attivo è infatti iniziato con la fondazione del movimento giovanile del PPDC della Surselva, nato da un lato con la volontà di promuovere nuove prospettive per uno sviluppo positivo della Regione, dall’atro per rafforzare il cosiddetto “pensiero regionale”. Passare insomma da un mentalità di paese, dove ognuno rimane concentrato sulla gestione e la pianificazione del proprio Comune, a uno spirito regionale. Con questa convinzione da quasi sette anni sono membro del Consiglio di direzione della Regiun Surselva.
Con tre argomenti, vorrei mettere in risalto i principali motivi che mi spingono a rifiutare la Legge sulla riforma territoriale.
1. Negli scorsi anni le Regioni del nostro Cantone si sono sviluppate differentemente. Se alcune di esse – per esempio la Regiun Surselva, la Pro Engiadina Bassa, il Circolo dell’Engadina Alta, la Regio Viamala e la Regione Mesolcina – hanno saputo organizzare su scala regionale numerosi compiti e servizi comunali, ve ne sono altre come la Nordbünden, che non si sono dimostrate così dinamiche. Questo è anche comprensibile, poiché si tratta di una Regione con un numero ridotto di Comuni molto grandi, a dimostrazione di come le Regioni si siano sviluppate e organizzate individualmente, ognuna a seconda delle proprie necessità e visioni. La Legge che ci apprestiamo a votare va a sconvolgere questi processi virtuosi, limitando la libertà organizzativa delle Regioni, in chiara contraddizione con il principio di autonomia dei Comuni e delle Regioni così come inteso fino ad oggi.
2. In un Cantone formato da 146 Comuni non sono ancora maturi i tempi per poter parlare di Comuni forti, capaci di agire da protagonisti sulla scena politica cantonale. Regioni forti, invece, possono fare pressione e possono inserirsi con successo nel dibattito cantonale. Guardando le prese di posizione su questa riforma, ho quasi l’impressione che nel nostro Cantone ci sia purtroppo chi auspica la presenza di Regioni e Comuni deboli. Sappiamo tutti che i Comuni periferici hanno possibilità di successo unicamente quando si presentano uniti. Tutto il resto è fumo negli occhi. Inoltre, non dimentichiamoci che delle Regioni forti non sono un ostacolo alle fusioni comunali. Cito l’esempio che conosco meglio: nessuna Regione ha assunto tanti compiti comunali quanto la Surselva e nonostante questo il numero di Comuni negli ultimi tre anni è diminuito da 44 a 20, con un’accelerazione del processo aggregativo che non ha pari nel nostro Cantone. Regioni forti promuovono la capacità di pensare su scala regionale, di guardare al di fuori dei confini comunali e aprono le porte alle fusioni comunali.
3. Sapere se le Regioni debbano avere un Consiglio di direzione o un Parlamento eletti dal popolo è una questione legittima, ma al momento secondaria. Fondamentale è che i loro organi possano operare in maniera efficiente e il meno burocratica possibile. Questo è possibile unicamente dando loro delle competenze decisionali. Se per ogni singolo compito già delegato le Regioni saranno chiamate a sottoscrivere degli accordi di prestazione con ciascun Comune coinvolto, che a loro volta devono poi sottostare all’approvazione degli organi comunali preposti, anche con le migliori intenzioni non possono funzionare con successo. Una simile procedura genera un mostro burocratico che ne indebolisce fortemente l’efficienza. Le Regioni devono poter disporre di un ampio margine di azione per tutti gli aspetti legati alla progettazione e di una forte solidarietà regionale per assumere e sviluppare con successo i compiti comuni.
Le Regioni che compongono il nostro Cantone non sono tutte uguali. Ciascuna ha le sue necessità e ognuna si è sviluppata in maniera differente. Esiste un elemento comune: l’organizzazione attuale funziona. Dicendo NO alla Legge sulla riforma territoriale diamo fiducia a un sistema efficiente e nel contempo permettiamo al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio di chinarsi nuovamente sulla questione ed elaborare un nuovo progetto che sia in grado di concedere un margine d’azione maggiore per quanto concerne l’organizzazione interna delle Regioni.