In breve le tappe delle indagini e il dibattimento processuale
Dopo quattro anni dal delitto di Zalende e due anni dall’inizio del processo, lunedì 15 dicembre la Giustizia italiana emetterà la sentenza nei confronti dei principali imputati (leggi qui). Ecco il riassunto della truce vicenda e dell’iter processuale fino ad ora.
La scoperta dei corpi e le prime indagini
La mattina di lunedì 22 novembre 2010 a Zalende, una frazione di Brusio, sono stati ritrovati privi di vita i coniugi Ferrari, il marito Gianpiero di 58 anni e la moglie Gabriella di 57 anni. I primi a trovarli esanimi negli uffici dell’azienda familiare sono stati i figli. Gli esami autoptici dimostrano che la coppia è stata uccisa senza pietà la domenica precedente. Le vittime presentavano ferite da arma da fuoco e gravi ferite alla testa provocate da un oggetto contundente che poi si scoprirà essere il calcio di una pistola Beretta (leggi qui). La notizia di questo evento tragico ed efferato ha avuto risonanza mediatica in tutta la Svizzera e nella vicina penisola italiana. In Valposchiavo è stato sicuramente il fatto di cronaca nera più truce del nuovo millennio.
Gli arresti
Partono le indagini della Polizia cantonale dei Grigioni che non si fermano solo all’ambito svizzero, ma che si rivolgono ben presto alla vicina Italia; infatti la Polizia cantonale chiede la collaborazione dei carabinieri del nucleo investigativo di Sondrio (leggi qui). Dopo dieci mesi dal crimine, nel settembre 2011, vengono arrestati un valtellinese e un moldavo, i quali durante il processo saranno definiti dall’accusa come, rispettivamente, l’organizzatore del delitto e l’esecutore materiale dell’uccisione della coppia (leggi e ascolta qui).
Quasi tre mesi dopo arriva una notizia che crea ulteriore sgomento nella popolazione valposchiavina. Attraverso un provvedimento del ministero pubblico grigionese viene arrestato un ex autotrasportatore valposchiavino sospettato dagli inquirenti di essere un mandante dell’omicidio dei Ferrari (leggi qui). La Procura grigionese decide per lui una detenzione preventiva nel carcere di St. Moritz. L’uomo viene rilasciato, come riporta TicinoLive del 4 febbraio 2012, perché “non ritenuto in grado di insabbiare prove utili all’indagine oppure di fuggire, rendendosi irreperibile”.
Inizia il processo
Questi sono i principali tre imputati del processo iniziato il 9 novembre 2012 (leggi qui) e affidato alla Corte d’Assise del Tribunale di Sondrio. Per tutta la durata del processo l’ex imprenditore valposchiavino non si presenta in aula in Valtellina e la pubblica accusa chiede una rogatoria internazionale per sentire lo svizzero. A marzo 2014 si tiene un’udienza speciale a porte chiuse, in Casa Torre a Poschiavo, per interrogare l’ex autotrasportatore che però fa scena muta (leggi e ascolta qui).
A Sondrio il presunto mandante valtellinese si presenta con l’avvocato Carlo Taormina, in passato legale di punta di Berlusconi. Nell’aula del Tribunale viene ricostruita la scena del crimine grazie alle fotografie scattate e ai video ripresi del luogo del delitto da parte degli agenti della Polizia tecnico-scientifica di Samedan, oltre agli esami di impronte digitali e dei reperti (leggi e ascolta qui e leggi qui). In seguito alle analisi, il DNA della pelle trovata sotto le unghie di una delle vittime sembra compatibile con il DNA del moldavo (leggi qui). A incastrare ulteriormente la posizione di quest’ultimo e del valtellinese arrestato sono le intercettazioni e i tabulati telefonici. Infatti, il pubblico ministero arriva così a tracciare la mappa dei rapporti fra il presunto mandante e il presunto esecutore e le vittime (leggi e ascolta qui).
Le rischieste dell’accusa
Nella requisitoria la pubblica accusa esplicita il movente del duplice omicidio. Come riportato nel servizio radiofonico delle Cronache della Svizzera italiana: “Per l’accusa il movente affonda le sue radici nel 2005, quando l’ex autotrasportatore vendette in nero ai Ferrari il primo di sette semirimorchi che per il pubblico ministero innescarono l’astio verso la coppia uccisa” (ascolta qui). Lo scorso ottobre la pubblica accusa chiede l’ergastolo per i due imputati (il valtellinese come organizzatore del crimine, il moldavo come esecutore materiale del delitto) perché l’omicidio è da ritenersi premeditato e non un delitto d’impeto, come aveva sostenuto la difesa (leggi qui). L’avvocato degli eredi delle vittime chiede una pena congrua e un milione e trecento mila euro di risarcimento per la morte dei familiari (leggi e ascolta qui).
La futura sentenza
Il 15 dicembre si concluderà quindi l’ultimo capitolo di questa storia processuale che ha contato ben 41 udienze e 52 persone interpellate (leggi qui). Poi la parola passerà alla Giustizia svizzera che sta attendendo il verdetto della Corte d’Assise di Sondrio per esprimersi in merito.