Approfondimento di Roberto Weitnauer – Terza parte
Qualcuno potrebbe obiettare che il ricorso alla legna esclude l’impiego di altre fonti organiche inquinanti. Tuttavia, nessuna combustione si avvicina anche solo alla lontana al carico di particolato generato dalla legna.
Senza contare che lo sfruttamento di fonti fossili è in Occidente di gran lunga più controllato di quanto non accada negli impianti privati.
Un camino chiuso produce circa 250 grammi di PM10 ogni gigajoule (cioè ogni 278 kWh) di energia liberata (se è aperto il valore sale a 500), una comune caldaia a legna ne rilascia 150, la combustione di gasolio 5, il metano e il GPL solo 0.2.
Che dire delle stufe a pellet per uso domestico? Il valore di riferimento si aggira sui 30 per la migliore tecnologia che, però, non è quella per cui opta il privato che compie l’acquisto allettato dal risparmio. I valori realistici medi si aggirano sui 70. Siamo ancora a meno di un terzo rispetto a una stufa a legna di media fattura. Tuttavia, risulta più elevato il particolato ultrafine PM1 e PM2.5, proprio la porzione più nociva.
Stufe e caminetti a pellet detengono inoltre il primato negativo nelle emissioni di monossido di carbonio, carbonio organico e nitrati, sempre per ogni unità energetica liberata. Quando i pellet non sono di origine controllata si hanno persino temibili emissioni di diossine.
Da qualche tempo le stufe o i termocamini a legna, a cippato e a pellet vanno di moda. Ciò si deve alla maggiore sensibilità dei consumatori per i prezzi dei combustibili in anni di crisi economica. Quanto tuttavia il privato riesce a risparmiare con il legno ricade con un onere ben più gravoso sull’intera collettività.
Una questione di responsabilità
Nelle valli boschive come le nostre la buona disponibilità di legna a basso costo, o anche raccolta in proprio, ne facilita l’impiego come combustibile. Se essa finisce in grandi e moderni impianti a biomassa, muniti di evoluti sistemi di filtrazione e abbattimento, le emissioni di polveri e altri inquinanti sono limitate. Dove però l’uso riguarda camini e stufe, specie se obsoleti e non controllati da personale specializzato, il discorso prende ben altra piega. I privati che adottino sistemi di filtrazione realmente efficienti sono rari, per via degli investimenti e dei successivi costi di manutenzione.
Facciamo in conclusione un paio di valutazioni desunte dagli studi più recenti. Per ogni 5 microgrammi di PM10 aggiunti in un metro cubo d’aria il rischio di morte prematura per chi vi è esposto annualmente aumenta quasi di un decimo. 10 microgrammi in più nel PM10 giornaliero innalzano il rischio di cancro ai polmoni di oltre un quinto. Se rapportiamo alla popolazione della Valposchiavo i decessi mondiali odierni causati dal particolato è come se ogni anno morisse più di un residente.
Queste sono le ragioni per cui a Parigi, per esempio, dal primo gennaio è tassativamente vietato bruciare legna in casa. A Londra e a Milano, tanto per fare altri due esempi, sono già stati presi provvedimenti analoghi. Certo, si tratta di metropoli, ma nelle condizioni meteo più critiche le valli anguste come la Valposchiavo subiscono minacce locali paragonabili.
Accendere la vecchia stufa poschiavina in refrattario o il caminetto della stüa può essere piacevole; e non si genera un inquinamento locale apprezzabile se lo si fa ogni tanto. Tuttavia, chi può scegliere deve maturare la consapevolezza del danno sanitario e ambientale che provoca quando lo fa tutti i giorni.
Ti sei perso le prime due puntate dell’approfondimento sull’inquinamento da stufe a legna. Eccole qua!
- Quant’è romantico il fuoco nel caminetto? – Prima puntata
- Le polveri fini, assassine seriali – Seconda puntata