Detenzione delle pecore sugli alpeggi
Nell’intervista a IL BERNINA, Otmaro Beti, contadino e pastore, espone il suo punto di vista sugli alpeggi e sull’idea della Protezione svizzera degli animali di vietare le greggi incustodite.
Nel tuo commento all’articolo sulla petizione della Protezione svizzera degli animali parli di ambientalisti intransigenti. Perché?
La petizione stessa è una pura provocazione: schiaffeggia chi seriamente e con cognizione di causa fa l’allevatore di pecore, senza fare alcuna distinzione tra allevatori. Come in ogni attività, c’è chi lavora seriamente e chi no. La Protezione svizzera degli animali non tollera l’esistenza di piccoli greggi non custoditi permanentemente, chiedendo in modo categorico l’abbandono per circa il 45 per cento dell’effettivo di animali portati sull’alpe. Un atteggiamento intransigente che per le regioni di montagna equivale a un esproprio, vietando la pastorizia tradizionale di molti alpeggi.
La Protezione svizzera degli animali ha lanciato la petizione dopo aver visitato diversi alpeggi. La situazione descritta nel relativo rapporto non è proprio idilliaca. L’associazione presenta un quadro distorto?
Assistiamo a una tipica percezione diametralmente opposta a quella che vivo personalmente sull’alpeggio che gestisco. La natura a volte è crudele e a volte è generosa. Personalmente penso che possano esserci delle situazioni precarie, ma queste ultime non possono essere prese a pretesto dalla Protezione svizzera degli animali per infangare tutto il settore, senza nemmeno degnarsi di cercare il dialogo con i gestori degli alpeggi che stando all’associazione sono trascurati.
Qual è allora il tuo punto di vista sulla pastorizia in Svizzera e in Valposchiavo?
La pastorizia estensiva è la ricchezza agronomica della montagna. Questa forma di sfruttamento del territorio ha il pregio di abbinare l’economicità, la cura del paesaggio culturale, la salvaguardia della biodiversità e della salute animale. Importare mangimi zootecnici e fieno dall’esterno equivale ad alleggerire il portafogli dell’allevatore e indirettamente a caricare eccessivamente con concimi i terreni di un’azienda agricola. Riuscire a trasformare al meglio i frutti che la terra di montagna ci dona senza l’apporto di sostanze ausiliarie esterne è la base di ogni azienda agricola biologica.
La nuova politica agraria punta proprio su questi aspetti o mi sbaglio?
La politica dei pagamenti diretti all’agricoltura è una forma di sostegno pubblico al settore primario. La politica agraria 2014-17 annovera circa 21 sistemi di sostegno. Sono convinto che questa forma di sostegno non è illimitata. La società “moderna” percepisce la natura/terra in modo diverso rispetto a chi invece tutti i giorni ci lavora e ci convive. Sempre più l’agricoltura è bollata come fruitore di “sussidi”, difesa da un lobby agraria ben presente a livello federale. In generale assistiamo a uno spostamento dei valori all’interno della società, la popolazione cresciuta in ambienti rurali ci lascia lentamente e le nuove generazioni crescono in un ambiente urbanizzato, perdendo completamente l’attaccamento alla terra quale fonte di cibo. Le associazioni ambientaliste sfruttano in modo mirato questa nuova situazione.
I dati parlano però anche di 4000 capi morti ogni anno. Non sono proprio pochi. Inoltre, molto spesso si dà la colpa di queste morti ai grandi predatori. Tuttavia, i dati statistici parlano di 200 capi all’anno, ossia solo il 5 per cento…
Paragonare 4000 capi persi con 200 capi predati è un tentativo maldestro di distorsione dei fatti. Non è corretto, fare di ogni erba un fascio, dimenticando volontariamente di differenziare le varie cause di queste perdite, dovute da vari fattori, per esempio pericoli naturali, quali caduta sassi, fulmini, intemperie, malattie. Per quanto riguarda la perdita dovuta a negligenza del gestore del gregge, essa può essere già oggi sanzionata tenor la legge federale sulla protezione degli animali LPAn art.4 e art 26.
Per quanto riguarda la perdita dovuta a predazioni la situazione è più complessa. La sola comparazione delle perdite non tiene per nulla conto degli effetti collaterali che queste provocano. Un’analisi scientifica seria non dovrebbe solo limitarsi al semplice paragone matematico, ma semmai dovrebbe tenere conto di tutti i risvolti socio-economici che la presenza di grandi predatori causano.
La Protezione svizzera degli animali sostiene che la Confederazione non dovrebbe più sostenere quegli alpeggi e allevatori che non sorvegliano in permanenza le proprie greggi. Quale sarebbe la conseguenza per i contadini locali?
Se da un lato il sostegno pubblico al settore è un toccasana, d’altro canto l’intervento massiccio dello Stato rallenta il processo di cambiamento nel suo stesso interno e limita l’azione imprenditoriale dei singoli attori. Limitare il sostegno finanziario agli alpeggi con una custodia permanente crea una disparità di trattamento fra sistemi di pastorizia. I contributi vengono elargiti per garantire la cura del paesaggio culturale e il mantenimento della biodiversità. Allora mi chiedo: un gregge di 500-800 pecore custodite, ammassate la notte in fortificazioni e di giorno portate al pascolo superprotette da cani e pastori, contribuiscono maggiormente alla biodiversità rispetto ai piccoli greggi che pascolano liberamente? Il dispendio di enormi risorse umane e finanziarie è sostenibile e la nostra società “moderna” è disposta a contribuire? Vari studi attestano al pascolo libero con piccoli greggi un maggior beneficio per la biodiversità e il paesaggio culturale rispetto alle greggi di grosse dimensioni. Per gli allevatori locali, l’esclusione dal sostegno equivale a un lento declino della pastorizia tradizionale, alpeggi misti (bovini e ovini), favorendo la zootecnia intensiva di stabulazione e la perdita di una pratica ancestrale.
Per limitare i costi della custodia permanente, il governo del canton Vallese e Agridea, associazione per lo sviluppo dell’agricoltura e delle aree rurali, ha lanciato l’anno scorso un progetto interessante. Sull’alpe Törbel, la custodia delle pecore è stata affidata a un giovane nell’ambito del suo servizio civile. Potrebbe essere un’idea da proporre anche in Valposchiavo?
Non posso condividere queste azioni da pompiere. Lasciare gestire un gregge di pecore a un milite del servizo civile, di regola un anno, può essere d’interesse mediatico. La pastorizia ha bisogno di continuità nella gestione del territorio, il sapere per fare il pastore non si acquisisce con un manuale d’istruzione, ma richiede molti anni di esperienza, acquisita e tramandata di generazione in generazione. La sorveglianza permanente, il pascolo di rotazione e l’altro pascolo sono tre forme di pastorizia valide. Esse hanno il pieno diritto di esistere anche in futuro.
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