Renzi e le sue 42 stagioni trascorse alla guida di uno spazzaneve lungo i tornanti del Bernina. Dai dubbi iniziali del Cantone, passando per le terribili giornate di vento, fino agli indimenticabili momenti di solidarietà umana: una storia avvincente.
Renzi Battaglia ci parla di una sfida vinta
L’intervista trasformata in racconto
Renzi mi accoglie a casa sua la sera del 15 dicembre. Sul tavolo del salotto mi attendono già, sovrapposti l’uno sull’altro, alcuni album di fotografie che da soli potrebbero raccontare decine d’inverni trascorsi lassù, a oltre 2’000 metri d’altezza, sfidando ogni genere d’intemperie. La storia dell’apertura invernale del passo del Bernina non può non passare da qui, mancherebbe uno degli ingredienti più importanti per poterla raccontare: Renzi e il passo sono una cosa sola, inscindibile. Mi sono recato a casa sua con il proposito di fare un’intervista, mi ero anche preparato. Ma sono bastati pochi attimi per capire che le domande non erano necessarie, tanto eloquente era il susseguirsi di parole e fatti, che ogni mio intervento poteva risultare banale. Sarebbe stato peccato interrompere il racconto, troppe cose avrebbero perso il loro senso. E così l’intervista s’è trasformata in narrazione, una cosa più vera, più genuina.
Un sogno diventato realtà
Inizia così il racconto che parte proprio dal 15 dicembre 1965, giorno in cui viene firmato il primo contratto con il Cantone per la pulizia del valico dalla neve. In verità, Renzi fa prima un ulteriore passo indietro, a quando aveva sette anni, narrandomi d’aver trovato un componimento svolto in 1. classe elementare, in cui affermava che, da grande, avrebbe voluto tenere aperto il passo del Bernina durante l’inverno. Un sogno che si avvera, cosicché, già all’età di 16 anni, con suo padre, si trova immerso in quel mondo tanto fantasticato, alle prese con immensi quantitativi di neve da spazzar via dalla carreggiata. Un segno premonitore, il destino racchiuso in quel componimento.
Il Cantone non voleva
Il Cantone aveva acconsentito a malavoglia ed in via del tutto sperimentale all’apertura del passo, grazie anche all’insistenza e alla caparbietà di alcuni politici valligiani. Lo stesso ufficio tecnico cantonale aveva chiaramente fatto capire che l’esperimento era limitato ad un solo anno, che non era disposto a spendere più di tanto per quel “capriccio” dei valposchiavini e che al minimo incidente avrebbe comunque rimesso tutto in discussione. Il denaro messo a disposizione da Coira era limitato, per i costi eccedenti dovevano garantire i Comuni di Poschiavo e Brusio, oltre a dei copiosi pedaggi prelevati ad ogni automezzo in transito. Anche dopo un primo anno in cui tutto era filato liscio, il Cantone non era ancora convinto che l’apertura potesse diventare definitiva. Il Bernina, durante l’inverno, rimaneva di fatto un osservato speciale e pareva che l’ufficio tecnico attendesse anche solo il minimo incidente per dissipare ogni dubbio sulla fine dell’avventura. Dopo il primo inverno, infatti, un incidente che aveva causato tre morti sul Passo del Lucomagno aveva convinto il Cantone a non più riaprire il Bernina per un secondo inverno: troppi erano i rischi e le insidie che incombevano. La renitenza di Coira nei confronti del transito invernale lungo i tornanti del Bernina era ancora percettibile fin quasi dieci anni dopo, nonostante i fatti fugavano ogni dubbio sulla necessità di tenere aperta quest’importante via di comunicazione. Il costante aumento del traffico su strada, unitamente all’intensificarsi degli scambi commerciali con la vicina Engadina e, più in generale, con il nord delle Alpi, avevano tolto ogni dubbio anche ai responsabili del Cantone, il quale, nel frattempo, aveva dato inizio anche ad opere di miglioria della strada.
Arlas e il Baraccone
I grossi album di fotografie, sfogliati durante il racconto, continuano intanto ad esprimere emozioni, a raccontare momenti unici, immortalati per l’eternità. Sì, perché tutto non si può raccontare, non è necessario, basta osservare quelle immagini che traboccano di neve e di vento e già si capisce. Si comprende facilmente che le zone più problematiche sono il “Baraccone” e “Arlas”, ma non è una novità, i valposchiavini già lo sanno. Renzi racconta di quella volta, nell’aprile del 1986, in cui il passo è stato chiuso una settimana intera causa il vento da sud. Terribile quel vento da sud; ad Arlas si erano accumulate pareti di neve alte ben 12-13 metri. Impossibile passare. C’erano macchine intrappolate, Dio solo sa quante. L’inverno con più precipitazioni nevose è stato invece il 2000/2001: 28 metri cumulati, neve e ancora neve, fino a primavera inoltrata. Per fortuna poco vento, l’assenza del quale aveva causato tutta quella coltre bianca. Renzi ricorda un giorno che si era lavorato dalle 13 alle 18 per poter liberare una sola corsia; si trattava di rendere possibile il transito alle automobili in attesa, in quanto il Bernina era, in quel preciso momento, l’unico valico che poteva venir aperto, anche solo in modo parziale.
Una grande responsabilità
Queste situazioni includevano sempre una gran senso di responsabilità da parte degli addetti ai lavori. Non era sempre possibile conciliare la pressione e l’impazienza di chi doveva per forza transitare, con la ragione di chi invece era chiamato a decidere. Già, perché tenere aperto d’inverno un passo come quello del Bernina non includeva solamente una sufficiente disponibilità di mezzi adatti, ma predisponeva nel contempo una profonda conoscenza del territorio e delle particolari situazioni atmosferiche. Bisognava, insomma, saper leggere la natura e capire i messaggi che la stessa inviava. Molto importante era anche essere circondati da validi collaboratori e poter interagire con il Cantone mediante riferimenti competenti, premesse indispensabili per poter svolgere un lavoro ineccepibile. Nei suoi 42 inverni trascorsi lassù, Renzi ha fatto tesoro di queste peculiarità, mettendo a diposizione la sua professionalità e preparazione acquisita con l’esperienza.
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Solidarietà umana
L’orgoglio di Renzi è rappresentato dai 42 inverni trascorsi senza incidenti: in ogni caso una sfida vinta, grazie soprattutto anche all’encomiabile impegno di tutti i collaboratori, nei confronti dei quali Renzi ha parole d’elogio e di riconoscimento. Ciò che resta è un’esperienza indimenticabile, quanto indimenticabili sono pure i momenti di solidarietà umana che puntualmente si manifestano nelle situazioni più difficili. E qui Renzi non può prescindere dal ricordare il fondamentale supporto avuto da Fides Bontognali, storica gerente del Cambrena, un vero e proprio angelo per molti viandanti in difficoltà e per tutti coloro che, nella bufera e in balìa delle intemperie, lavoravano ininterrottamente per rendere praticabile il Bernina. “Senza di lei molto di tutto questo non sarebbe stato possibile – ricorda con simpatia Renzi – era la nostra ancora di salvezza per ogni necessità, a tutte le ore del giorno e della notte”.
Il racconto potrebbe inoltrarsi fino a notte fonda, tante sarebbero ancora le cose da dire. Decidiamo d’interrompere qui. L’album si richiude e molte di quelle foto rimangono purtroppo silenziose. Come silenzioso è il lavoro lassù, dove solo il sibilo impetuoso del vento interrompe la quiete di paesaggi completamente sommersi dalla neve. Quella benedetta neve che oggi non c’è; e questo è anche il segno dei tempi.
Foto: Archivio Renzo e Laura Battaglia
Piero Pola