Dubois è recidivo, ha già ucciso in passato
IL BERNINA pubblica una lettera aperta di Nicoletta Noi-Togni sulle perizie psichiatriche in casi di omicidio e relative condanne, con particolare riferimento all’attuale caso Claude Dubois, reo confesso dell’omicidio della diciannovenne Marie.
Da mesi ci vediamo confrontati con termini quali „stato di diritto“ e „società civile”, espressi con connotazione positivista e determinista che possono essere, seppur’ con qualche perplessità, in chiave politica accettati. Allargando il discorso e trasferendolo, dalla potenzialità di una votazione popolare a quello del contesto reale, cosa “vediamo”? Un uomo alla sbarra, certo Claude Dubois, reo confesso, che ha ucciso barbaramente una diciannovenne, Marie, e che probabilmente sfuggirà all’internamento a vita perchè uno dei due psichiatri che lo ha esaminato non è del tutto convinto che sia veramente inguaribile.
Il suo primo avv. difensore, Loic Parein, ha infatti insistito sugli aspetti legali (stato di diritto) che si opporebbero ad un internamento a vita poichè per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo una simile condanna non può essere pronunciata quando i pareri degli esperti psichiatri non concordano. Da notare che Dubois è recidivo, ha già ucciso in passato una donna ed il fatto che abbia potuto uccidere ancora è da ascrivere all’indulgnza (o noncuranza) di uno stato di diritto che l’ha lasciato prematuramente libero.
Prima di Marie e vicini nel tempo, ci sono stati i casi di Lucie, di soli sedici anni, di Adeline, terapeuta, di una prostituta di Bienne, anch’esse vittime di criminali recidivi, internati si e no al momento dei fatti (condoni, arresti domiciliari). Per non parlare dello stupratore seriale Markus Wenger, che la Neue Zürcher Zeitung prende ad esempio per commentare con quanta incredibile “dolcezza” la giustizia abbia agito con i criminali pericolosi nel recente passato.
Su tutto l’impronta della nostra massima autorità dello “stato di diritto”, il Tribunale federale, che in molti casi ha contraddetto i Tribunali di prima istanza, ammorbidendo le pene da loro emesse. Basta infatti che non ci sia la matematica certezza dell’inguaribilità dell’imputato da parte di uno degli esperti psichiatri incaricati della perizia ed il gioco è fatto. Cosi facendo si ottempera a quanto pare ai dettami della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma di quali diritti parliamo? Non certo di quelli della cosidetta “società civile”, il cui primo diritto sarebbe quello di essere protetta. Rispetta così facendo il Tribunale federale la prescrizione dell’articolo 10 della Costituzione federale secondo la quale “Ognuno ha diritto alla libertà personale, in particolare all’integrità fisica e psichica e alla libertà di movimento”? Fermo restando che questo paragrafo è a carattere universale, rivolto cioè ai diritti del popolo e non a quelli particolari di chi il popolo lo può mettere in pericolo, altrimenti i due diritti si contradirebbero palesemente.
Il dubbio a questo punto è che l’esasperata difesa di tutto ciò che è particolare non lasci più “vedere” il generale. Lo stato di diritto non lo può seriamente volere perchè ciò andrebbe proprio a danno di quella società civile che intende proteggere. A meno di voler beffare non solo i termini ma anche se stesso.
E non si dimentichi che è stata la stessa società civile a mettere in mano allo stato di diritto lo strumento per l’internamento a vita dei criminali pericolosi, quelli insomma che, all’esterno di un istituto, rappresentano un esplicito, grave pericolo, specialmente per le persone più indifese, I bambini per esempio. Lo ha fatto accettando in votazione popolare (56,2%) nel 2004, un’Iniziativa che lo chiedeva. Uno Stato sovrano non ne può non tener conto. A meno di non esserlo più!
Nicoletta Noi-Togni