Un piccolo grande passo nello studio dell’inizio della vita

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Il metabolismo come nuova chiave interpretativa
(di R. Weitnauer)
Uno degli aspetti ad un tempo più ostici e più intriganti della biosfera riguarda i suoi esordi, cioè la maniera in cui la materia inerte sulla Terra si è trasformata in materia viva. Un contributo in questo campo di ricerche è stato di recente registrato nell’autorevole rivista ‘Nature Chemistry’, grazie agli sforzi di Subhabrata Maiti.

 

Subhabrata Maiti è un ricercatore indiano che lavora a Padova con un finanziamento dell’UE (l’articolo del 2 maggio è: ‘Dissipative self-assembly of vesicular nanoreactors’).
Ci troviamo al confine tra biologia evoluzionistica, chimica e fisica. Mentre infatti è assodato come dalla vita possa scaturire ed evolvere altra vita, ben differente compito è stabilire come abbia preso piede sulla Terra il primo sistema molecolare vivente.

Se tentiamo di dare una definizione scientifica della vita non possiamo non riferirci alla costituzione di quel meraviglioso complesso funzionale che è la cellula. Non esiste organismo che non sia composto di cellule (i virus non sono cellule e a rigore non devono ritenersi vivi).
Tutti gli organismi si replicano, dando luogo ad altri organismi. Qui è di nuovo una qualità straordinaria della cellula a emergere: la sua facoltà di dividersi e duplicarsi.
Crescita, e divisione cellulare sono processi biochimici tipici. È ben noto che essi dipendono da un mutuo legame tra acidi nucleici (Dna, Rna) e catene di amminoacidi (proteine).
Per completare la descrizione, dovremmo infine chiamare in causa Darwin: la vita evolve nelle generazioni, in conseguenza di un adattamento degli organismi all’ambiente (che li seleziona).

Questi meccanismi fondamentali sono oggi insegnati agli adolescenti nella gran parte delle scuole moderne. Il loro avvento sul pianeta è invece motivo di confusa speculazione. E lo è per una ragione caratteristica e, a prima vista, insospettabile.
Se passiamo in rassegna gli studi sulle fasi prebiotiche della vita sul pianeta ci accorgiamo che le ipotesi plausibili si presentano davvero in gran quantità. I ragionamenti sottostanti sono ineccepibili e corroboranti sono pure le relative evidenze sperimentali. Si tratta insomma di una scorpacciata di ottimi risultati scientifici.
Tutto bene, dunque. Invece, no: il problema è proprio che le congetture sono troppe. Non si sa pertanto quale preferire. Ognuno di questi eccellenti lavori sfocia nel suddetto accoppiamento tra Dna e proteine, ma le strade tracciate sono differenti.
Questa insolita difficoltà attiene al concetto medesimo di vita ed è stata messa in luce oltre due anni fa dalla prestigiosa rivista ‘Science’ (si veda: ‘Many Paths to the Origin of Life’ di gennaio 2014). Il contributo di Subhabrata Maiti fa oggi chiarezza e apre nuove prospettive.

Chiediamoci intanto: come ha preso corpo questa moltitudine di interpretazioni? Tutto è iniziato con lo storico esperimento di laboratorio condotto da Stanley Miller nel 1953. Lo statunitense mostrò che in condizioni similari a quelle ipotizzate per la Terra primordiale potevano costituirsi dei composti organici a partire da semplice molecole inorganiche; delle specie di primi mattoncini biologici.
Qualcuno un po’ in là negli anni ricorderà forse come i media avessero allora creato clamore attorno alle ampolle di Miller. Da allora la mira si è affinata. Ad esempio, oggi non si esclude che i mattoni della biosfera provengano da spazi extraterrestri. Materiale organico è stato d’altronde riscontrato nelle polveri interstellari.
In ogni caso, l’esperimento del ‘53 ebbe il merito di aprire la caccia ai possibili precursori di Dna e proteine.

C’è forse un riferimento ancor più primitivo di quanto qui esposto per definire la vita? Ebbene sì; e qui sta il nocciolo dell’intera questione: si tratta del concetto di metabolismo.
Ogni essere vivente consuma calorie per auto-organizzarsi, sviluppandosi, riproducendosi e sopravvivendo. Un organismo è, come si dice, una ‘struttura dissipativa’: esiste in virtù di un flusso di energia che l’attraversa.
Per meglio capire, immaginiamo un lavandino pieno d’acqua. In esso è accumulata dell’energia, come in un invaso di montagna. Se apriamo lo scarico il liquido defluisce, formando sul fondo un caratteristico mulinello che facilita lo svuotamento. Il vortice è una struttura che si auto-organizza, finché permane un carico sullo scolo. Il mulinello è l’espressione locale di un transito energetico, è appunto una struttura dissipativa.
Perché questo parallelo? Perché ogni creatura vivente è come il nostro mulinello: conserva una propria dinamica, sfruttando lo svuotamento di riserve energetiche. Sulla Terra il lavandino cui attingono gli organismi è costituito da molecole tipiche: quelle di Atp (adenosintrifosfato) che, in ultima analisi, contengono l’energia del sole.

Tutto ciò ci conduce finalmente al lavoro realizzato presso l’Università di Padova.
Molte delle precedenti ricerche si focalizzavano sulla generazione di molecole in grado di organizzarsi in sistemi complessi. Una chiara similitudine con la vita. Ma, attenzione, mancava ancora qualcosa: il metabolismo.
Lo studio di Subhabrata Maiti ha portato a individuare una struttura molecolare che richiede continuamente energia per mantenersi organizzata, come il mulinello. Degno di nota è che essa attinge proprio all’Atp.
E, guarda caso, in presenza di Atp, le molecole di Subhabrata Maiti si articolano in strutture estese (liposomi) molto simili alle cellule. Esaurito l’Atp, i liposomi si disfano.
Non si può dire ‘bingo’, ma il passo in avanti, anche se non c’è tutto il clamore di allora, non pare meno significativo di quello compiuto con l’esperimento di Miller.

Roberto Weitnauer


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