35 anni di “Bionda aurora” – basta!
IL BERNINA dà voce all’indignazione della deputata Nicoletta Noi-Togni nei confronti delle SSUP e del suo nuovo inno nazionale.
In modo diplomaticamente subdolo, con l’ausilio (o potere) dei media sociali (“Cinque stelle” di Beppe Grillo dixit), senza far troppo rumore ma ben decisa a perseguire il suo obiettivo di “rottamazione” dell’Inno Nazionale, la Società svizzera di utilità pubblica sta raggiungendo il suo scopo. In nome di non so che e cosa, liquida detto Inno con un perentorio e inequivocabile: 35 anni di “Bionda aurora” – basta!, come si può leggere sul suo sito, naturalmente tacendo che l’Inno è de facto inno nazionale dal 1961 e de jure dal 1981.
Quasi “Bionda aurora” fosse un matrimonio non riuscito, un lavoro antipatico, una medicina amara o peggio ancora. Mi scuso per termini e paragoni riduttivi ma che corrispondono al bassissimo livello dell’operato della SSUP, che oltretutto non si distingue certo per eccellenza nell’impiego della lingua italiana, come si può constatare visitando il suo sito internet. Ma questo non sarebbe il peggio. No, il peggio è la violenza insita in quel “basta!” che tradisce avversione, rifiuto, voglia di distruzione di qualcosa che per altri è prezioso, è la manipolazione subdola che denota tutta la procedura per raggiungere lo scopo dal 2014 in poi (giustamente l’articolista del CdT del 20 luglio si chiede “Ma come si è arrivati a questo punto?”), è l’arroganza del voler piegare tutta una nazione ad una volontà non necessariamente condivisa senza seguire la via istituzionale che ogni cambiamento che tocchi il Paese, richiede. Una via istituzionale che, anche se in questo caso non esplicitamente prescritta, il rispetto vuole che passi dal Governo e dalle Camere federali per giungere al popolo che in votazione popolare (per urna e non attraverso “la rete” alla quale molti non hanno neppure accesso o a concorsi radiofonici e televisivi) accetta o rifiuta. C’è da chiedersi se – sulla scia della svalutazione di molti valori – la SSUP sappia ancora distinguere tra un Inno nazionale ed una canzonetta da strada. Il dubbio che così non sia è lecito dato che l’esimia SSUP invita (l’ha già fatto “induttivamente” lo scorso 1 agosto!) quest’anno ufficialmente, Comuni, scuole (cosa particolarmente grave) e cori, ad eseguire il “nuovo” Inno. Con quale diritto e autorità nessuno lo sa ma certamente con una tattica ben precisa. Non si tratta dunque solo di ignoranza ma di calcolo. Quest’ultimo, il calcolo, è il filo rosso di questa vicenda. Il calcolo per raggiungere l’obiettivo in modo comodo, senza svegliare troppo l’attenzione di chi, di matrice religiosa, malvede l’estromissione della parola Dio dall’Inno. Pur’ ribadendo di volersi riferire alla Costituzione federale che inizia appellandosi a Dio. Un evidente paradosso al quale sembrano aver dato ragione rete e concorsi.
Chiamati dalla SSUP comunque non a scegliere tra l’attuale e il nuovo Inno ma solo tra i nuovi testi proposti. Inducendo il grosso pubblico a credere che l’attuale Inno non esistesse già più. I nuovi testi, sapientemente ben presentati, sono stati pubblicizzati e il testo vincente già dato in esecuzione il 1 d’agosto scorso da qualche autorità comunale non abituata alla disquisizione. Peccato perché da quest’ultima, premesso si vogliano e sappiano paragonare Inno attuale e Inno nuovo, si ricaverebbero indicazioni rilevanti sull’idoneità dell’uno o dell’altro. Il testo dell’Inno attuale, che è in parte consegnato all’interpretazione in quanto poggia su base poetica, evoca quel mondo agreste nel quale la Svizzera ha avuto il suo inizio; ed anche se percorso dalla trascendenza che si esplica in una ricorrente invocazione di protezione divina non è un semplice canto religioso, pur’ essendo come tale nato. Perché parla di Patria, di difesa del suolo, di un uomo che Dio vuole Cittadino e perciò con le sue responsabilità di cittadino, parla di verità, di libertà, concordia e amor, nominando anche il simbolo precipuo della Svizzera e cioè l’Elvezia. Qui cade una delle principali critiche mosse all’attuale Inno, quella cioè di essere solo religioso. Come si vede sono del tutto estrapolabili dal testo attuale elementi del Preambolo della Costituzione federale, elementi che ritroviamo anche nel nuovo testo proposto, ma testo quest’ultimo che è ben lontano dal caratterizzare la Svizzera.
Mi spiego: il testo propagandato dalla SSUP che consiste in un’unica strofa ( forse l’SSUP ritiene gli svizzeri d’oggi incapaci di apprendere più di una strofa, convinzione strategicamente corretta all’ultimo momento con l’aggiunta di una ripetizione della strofa nelle lingue nazionali) a parte il riferimento alla bandiera (croce bianca, campo rosso) non caratterizza, né dal profilo della rappresentazione, né da quello semantico, la Svizzera. Servendosi di termini generali non accompagnati da rappresentazione, si vota all’anonimità di vocaboli ampiamente usati (e abusati) dalle diverse nazioni. Perché con la libertà vuole caratterizzarsi l’America, con la pace la Germania, con l’unità e l’equità la Francia, aperti al mondo vogliono essere tutti (o quasi) ed anche forti se aiutano i deboli. Formulazioni certo di grande valore se situate nel contesto, spiegato, del Preambolo della Costituzione che resta però un’altra cosa. Ma valori che, se rivendicati dal nuovo Inno, sono abbondantemente presenti anche in quello attuale.
Quindi perché cambiare? Perché – dice il teologo, ex gesuita Lukas Niederberger che con l’ex alto funzionario della Confederazione, Jean-Daniel Gerber, vuole scalzare l’attuale Inno nazionale – in un Paese nel quale un quarto della società si considera non credente non è adeguato avere, come Inno nazionale un canto religioso. A parte il fatto che, come si è dimostrato, “Bionda Aurora” non è solo un canto religioso, un teologo dovrebbe sapere che chi si dichiara non credente è credente per il fatto stesso di definirsi non credente. Un concetto difficile ma che ci è stato tramandato nei secoli dai filosofi che si sono occupati di metafisica. E la metafisica c’entra in questa discussione. Ma molto più c’entra il disgusto per la disonestà di poche persone che, incuranti del principio che il fine non giustifica i mezzi, incidono su di un tessuto dello Stato, senza averne la legittimazione. Deludendo molte persone, non rispettando chi l’Inno l’ha creato sulla base di una melodia ben precisa, non cogliendo la bellezza di un testo che ribadisce in modo delicato e sensibile, il carattere della Svizzera e l’anima della sua popolazione.
Non per nulla il 1 aprile del 1981, il Consiglio federale (composto dagli onorevoli Furgler, Ritschard, Chevallaz, Honegger, Hürlimann, Aubert e Schlumpf) – dopo che a partire dal 1961 aveva già introdotto lo stesso Inno nelle manifestazioni ufficiali, politiche e militari, e non a partire dal 1981 come dice l’esimia SSUP – decretava definitivamente “Bionda aurora” nuovo Inno nazionale della Confederazione, basandosi sulla constatazione che si trattasse di un canto autenticamente svizzero, degno e festoso. Bellissima definizione!
Tutto ciò sembra sconosciuto alla SSUP che statuisce in ogni modo un pessimo esempio in un tempo di perdita di valori e di senso della vita. E che questo esempio ci pervenga paradossalmente proprio dalla Società svizzera di utilità pubblica, non meraviglia solo, ma anche indigna. L’attuale Inno non è più al passo con i tempi? La mia impressione è che la SSUP non lo sia mai stata.
Nicoletta Noi-Togni