Seconda parte (di R. Weitnauer)
Nota per il lettore: quanto qui illustrato è da intendersi in termini semplificati e non va preso pertanto con i crismi del rigore scientifico. Lo scritto intende semplicemente offrire a un pubblico generico una panoramica sul fenomeno dei terremoti, sulla loro pericolosità nel corso del tempo e sulle condizioni sismologiche che riguardano la Svizzera e, tangenzialmente, i Grigioni e la Valposchiavo.
INDICE DEL CONTENUTO
PRIMA PARTE
- Il terremoto nell’Italia centrale
- I terremoti sono sottovalutati in Svizzera
- Il Servizio sismico svizzero
- Tanti sismi piccoli e pochi ingenti nel territorio svizzero
SECONDA PARTE
- La genesi dei terremoti
- Il potenziale distruttivo dei sismi
TERZA PARTE
- Valutazione del rischio sismico in Svizzera
- Magnitudo
- Considerazioni finali
La genesi dei terremoti
L’orizzonte di vita umano è limitato rispetto a molti accadimenti naturali. Può pertanto capitarci di non cogliere la loro ricorrenza. I terremoti devastanti ci paiono eccezionali, ma non lo sono se considerati in tempi geologici. L’idea di una Terra statica è quanto di più errato si possa concepire. I sismi, come la formazione delle catene montuose, le eruzioni vulcaniche o la deriva dei continenti, sono il riflesso dell’instabilità protratta di un pianeta che evolve secondo ritmi più o meno serrati dall’epoca della sua formazione nello spazio siderale. Una civiltà evoluta non può non fare i conti con questa realtà. Del resto, ogni giorno si verificano nel mondo circa 50 eventi sismici rilevanti.

Fig. 7 – Fonte: SED – Ritaglio da documento
Le placche continentali sotto la Pianura Padana e i bordi montuosi della Svizzera non stanno ferme e concorrono all’evoluzione globale della geologia terrestre.
I terremoti maggiori si originano a causa della frizione tra le placche (o zolle) tettoniche dei continenti. Di che si tratta?
Possiamo farci un’idea approssimativa di tale geodinamica, pensando a delle zattere che traslano su un fondo melmoso irrequieto. La fredda ‘litosfera’ è la porzione più dura ed esterna del pianeta. Lì sopra viviamo tutti noi e le altre creature biologiche. Essa non è un continuo, bensì, un sistema di piastre: le zattere del nostro paragone, le placche, appunto.
Sotto la litosfera si trova l’‘astenosfera’ fluida e surriscaldata. Essa è interessata da moti termici convettivi generati dalla differenza tra il calore interno terrestre e l’esterno (un po’ come avviene nella pentola in cui cuociono gli spaghetti), nonché dalle sollecitazioni della rotazione terrestre, dell’attrazione lunare e dell’affondamento di piastre dense raffreddate. L’astenosfera è la melma che con il suo movimento rimorchia le zolle litosferiche (le zattere) che galleggiano sopra.

Fig. 8 – Fonte: ‘Digilands – Natura Scienza Paesaggio’ – Ritaglio da documento
Sull’astenosfera si muovono come zattere le placche tettoniche della litosfera.
Tali spinte spiegano la deriva dei continenti, la formazione per corrugamento delle catene montuose e le eruzioni vulcaniche, ma rendono conto anche dei sismi. Infatti, gli sforzi trasmessi nella litosfera determinano condizioni critiche lungo i margini delle zolle. Le zattere continentali possono collidere, strisciare, scivolare una sotto l’altra.
Le rocce raffreddate della litosfera non sono plastiche come quelle dell’astenosfera rovente che sta sotto. Esse possiedono invece una certa elasticità. Resistono alle spinte, piegandosi in ragione dello sforzo cui sono sottoposte. Tuttavia, superato un certo carico locale, la loro struttura cede o scatta come una molla che si libera dalla compressione. L’energia potenziale accumulata nella deformazione si scarica di colpo in forma di oscillazioni che si propagano nella superficie terrestre. Queste onde elastiche sussultorie od ondulatorie sono il terremoto.
Le mappe di sismicità mostrano in effetti che le sorgenti meccaniche dei terremoti tendono ad addensarsi lungo i bordi delle placche tettoniche, mentre grandi terremoti intraplacca sono più rari.
Fig. 9 – Fonte: ‘Osmosi delle idee’ – Ritaglio da documento
Esempio di subduzione di placca tettonica pesante sotto placca più leggera. Si noti che il terremoto del 2011, di magnitudo 9 (!), avvenuto in Giappone è dipeso proprio da una subduzione: la placca del Pacifico si è infilata sotto quella nordamericana. La frizione ha causato il trascinamento verso il basso di un lembo che poi si è liberato di colpo, provocando un cosiddetto ‘effetto pagaia’, ovvero sollevando di colpo la massa d’acqua soprastante che ha poi innescato lo tsunami.
Fig. 10 – Fonte: immagine ‘Digilands – Natura Scienza Paesaggio’ – Ritaglio da documento
Esempio di scontro di placche tettoniche dello stesso peso con conseguente instabilità e spiccata orogenesi, ossia formazione di rilievi.
Le Alpi, come ancor più gli Appennini, sono una formazione geologica recente e, come tale, non ben assestata. Non meraviglia che diversi terremoti svizzeri del passato abbiano avuto il loro epicentro nei rilievi montani. In quanto all’intensità del sisma, occorre però considerare anche la condizione che vige nel sottosuolo più profondo, specialmente dove s’incontrano le placche continentali poc’anzi descritte.
È proprio ciò che avviene sotto una porzione della Svizzera, come già (in forma più pronunciata) sotto l’Italia, i Balcani, la Grecia e la Turchia. Nella fattispecie, si tratta dello sfregamento tra la placca africana e quella euroasiatica, da sempre le due responsabili dei maggiori sismi intorno al Mediterraneo.

Fig. 11 – Fonte: ‘Spiegel Online’ – Ritaglio da documento
La faglia d’incontro tra la placca africana e quella euroasiatica sfiora anche la Svizzera. I pallini bianchi hanno grandezze proporzionali ai terremoti che rappresentano. Si parte dalla magnitudo 3.5 e sono contemplati vari secoli.
Il potenziale distruttivo dei sismi
Per quanto esposto, si comprende bene che la probabilità che in un luogo si scateni un terremoto rilevante dipende dalla sua relazione geologica con le zone di faglia presenti tra le placche continentali. Va tenuto presente che alle discontinuità tettoniche principali dovute al lento movimento dei continenti si affiancano faglie secondarie, più o meno direttamente collegate con quelle primarie e anch’esse in imprevedibile evoluzione.
Detto in poche parole: la tettonica è una scienza alquanto complessa e incerta. Concorre in modo anche affascinante a spiegare, ma, purtroppo, molto meno a fare previsioni. Ciò per due ragioni principali: la composizione degli sforzi nel sottosuolo è estremamente variegata e la disposizione delle rocce nel sottosuolo non può essere conosciuta come quella sopra il terreno.
Resta indubbia la circostanza che la vicinanza a placche continentali tra loro in contrasto non può che essere motivo di preoccupazione per chi abiti i territori soprastanti e si renda conto di come l’energia tettonica possa essere lentamente accumulata e poi rapidamante liberata (si pensi a San Francisco, sopra la faglia di Sant’Andrea).

Fig. 12 – Fonte: ‘Progetto SHARE’ finanziato dall’UE – Ritaglio da documento
Rischio sismico europeo concentrato lungo i limiti delle placche.
Presso il SED sono state elaborate mappe che riportano per la Svizzera la frequenza attesa con cui si ripresentano terremoti superiori a una data magnitudo, entro un certo intervallo temporale ed entro un certo raggio sul territorio. Qui appresso un esempio:

Fig. 13 – Fonte: SED – Ritaglio da documento
Probabilità che nell’arco di 50 anni si verifichi entro un raggio di 30 km un sisma di magnitudo 5 o più, quindi in grado di generare almeno danni medi.
La cartina si riferisce ai soli epicentri, così come essi si sono presentati nel corso del tempo. La magnitudo è infatti sempre rilevata in superficie.
L’ipocentro è il punto nel sottosuolo dove si origina il sisma. È chiaro che, a parità di energia ceduta nelle profondità del sottosuolo, un sisma che si sviluppi più vicino alla superficie provochi su di essa più danni di un sisma più profondo. L’epicentro corrisponde invece alla proiezione dell’ipocentro in superficie, cioè stabilisce le coordinate di longitudine e latitudine da dove si irradia il terremoto.
Molto importanti sono anche le caratteristiche della geologia locale. Infatti, vi sono sottosuoli e suoli che assorbono parte dell’energia liberata e altri che invece sono in grado di trasmetterla lontano.
Va ricordato una volta di più che qualunque modello che si ritenga atto a inquadrare la distribuzione spaziale e temporale dei terremoti può avere qualità deterministiche solo in parte. In altre parole, un siffatto strumento deve necessariamente intendersi come un approccio generale al rischio e non certo come un accurato strumento previsionale in relazione al luogo, al momento e alla gravità dell’evento tellurico.
Ciò non toglie che le mappe del SED costituiscano oggi un riferimento principale per gli amministratori dei territori svizzeri e per la costruzione degli edifici o di manufatti in generale.
I vari modelli elaborati dal SED indicano che il Vallese è l’area geografica svizzera a maggior rischio (un sisma di magnitudo 6 atteso ogni 50-100 anni circa). Va poi annoverato il territorio intorno a Basilea (il già citato rift renano), ristretto, ma ad alto rischio. Infine, più sismica è anche la Svizzera sud-orientale. Il Cantone dei Grigioni è interamente incluso nella zona di attività tettonica, senza particolari variazioni di suscettibilità al suo interno (si veda anche la carta successiva).
Fig. 14 – Fonte: ‘Thinglink’ – Ritaglio da pagina web
Ipocentro di un sisma, situato nel piano di faglia, dove le formazioni geologiche profonde sono tra loro in contrasto. Epicentro sulla superficie esterna del suolo, sulla verticale che passa per l’ipocentro.
Fine seconda parte – domani la terza e ultima parte
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Roberto Weitnauer