Il terremoto nell’Italia centrale ci offre alcuni spunti di riflessione: Cosa sono i terremoti? Come siamo messi in Svizzera? (3/3)

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Terza parte (di R. Weitnauer)
Nota per il lettore: quanto qui illustrato è da intendersi in termini semplificati e non va preso pertanto con i crismi del rigore scientifico. Lo scritto intende semplicemente offrire a un pubblico generico una panoramica sul fenomeno dei terremoti, sulla loro pericolosità nel corso del tempo e sulle condizioni sismologiche che riguardano la Svizzera e, tangenzialmente, i Grigioni e la Valposchiavo.

 

INDICE DEL CONTENUTO

PRIMA PARTE

Il terremoto nell’Italia centrale
I terremoti sono sottovalutati in Svizzera
Il Servizio sismico svizzero
Tanti sismi piccoli e pochi ingenti nel territorio svizzero
SECONDA PARTE

La genesi dei terremoti
Il potenziale distruttivo dei sismi
TERZA PARTE

Valutazione del rischio sismico in Svizzera
Magnitudo
Considerazioni finali

 

Valutazione del rischio sismico in Svizzera

Il SED ha lungamente elaborato una mappa specifica di rischio sismico per la Svizzera, aggiornata al 2015, che deriva da un intreccio tra i dati statistici inerenti i terremoti registrati negli annali storici, la struttura geologica del territorio e un modello fisico di propagazione delle onde sismiche.

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Fig. 15 – Fonte: SED – Ritaglio da documento
Mappa principale di pericolosità dei terremoti svizzeri che funge da riferimento per le norme antisismiche nazionali SIA (Società svizzera degli ingegneri e architetti), introdotte dal 1989.

 

Si intuisce che la pericolosità di un terremoto non dipende solo dall’energia ch’esso rilascia nel territorio, ma anche dagli effetti che è in grado di provocare nelle opere umane le quali possono incassare più o meno bene nella propria struttura le sollecitazioni ondulatorie provenienti dal sottosuolo. Ciò è contemplato dalla cartina.
Come si può valutare concretamente il rischio tettonico in questo contesto? Dobbiamo riferirci alle elaborazioni del SED per comprendere l’approccio sottostante. L’istituto non può tenere conto di tutte le differenti tipologie strutturali degli edifici, ma può considerare ciò che li accomuna in gran parte sul fronte dell’esposizione al pericolo tellurico. Questo è stato esattamente il modo di procedere adottato.

Iniziamo ad osservare che i terremoti sussultori sono meno pericolosi di quelli ondulatori, anche se non di rado un sisma sviluppa sia sollecitazioni cicliche orizzontali che verticali (provocando movimenti a ellisse). Infatti, le vibrazioni verticali generano compressioni alle quali molti edifici anche vecchi o antichi possono reggere senza troppi problemi. Le azioni orizzontali operano invece di taglio, come una forbice che affondi in un cartone. Le flessioni subite dalle strutture ondeggianti sono inoltre molto più pericolose delle compressioni (si pensi a un bastone su cui si può premere con forza, ma che si rompe facilmente qualora venga arcuato).


Fig. 16 – Fonte: ‘Osservatorio Ambientale Val d’Agri’ – Ritaglio da documento
Rappresentazione schematica delle scosse ondulatorie (onde longitudinali nel suolo) e sussultorie (onde verticali nel suolo).

 

La mappa del SED prima riportata indica la pericolosità sismica per uno scuotimento orizzontale di 5 Hz (cicli al secondo). Perché proprio questa frequenza? Perché la maggior parte degli edifici svizzeri entrano in risonanza proprio a 5 Hz, innescando oscillazioni sempre maggiori, fino a crollare, un po’ come il bicchiere di cristallo che si frantuma per l’acuto vibrante di un soprano. Una casa può però crollare anche con altre frequenze, qualora l’energia delle onde sismiche sia sufficientemente elevata. Ci sono poi case che entrano in risonanza a frequenze diverse. In genere, più è alto l’edificio, minore è la frequenza critica.

La pericolosità sismica in presenza di manufatti dipende poi dall’accelerazione cui va soggetto il suolo, giacché essa riflette la forza esercitata sulla struttura. Ogni valore di accelerazione (legato alla magnitudo) ha un certo tempo di ritorno. Più l’accelerazione considerata è pronunciata e più lungo sarà il suo intervallo probabilistico di ricorrenza.
L’attuale normativa svizzera antisismica contempla spesso accelerazioni che si ripetono in media una volta ogni 500 anni. Ad esse l’edificio deve resistere. Uno stabile privato o commerciale dura di solito 50 anni, il che significa ch’esso ha una probabilità del 10% d’incappare in un evento corrispondente a quell’intervallo.

Riassumendo, la mappa del SED riporta le accelerazioni orizzontali con frequenza critica di 5 Hz che, zona per zona, hanno la massima probabilità di ricorrere ogni 500 anni, che devono essere sopportate dalla struttura e che hanno il 10% di probabilità di scaricarsi su stabili che durano 50 anni.

A questo punto, per farsi un quadro della propria condizione, non resta che controllare quale sia il valore dell’accelerazione contemplato nel progetto della propria abitazione, supponendo che tutto sia stato eseguito a regola d’arte.
In molti casi, purtroppo, questo valore sarà del tutto ignoto e occorrerà interpellare dei periti per ricavarlo e appurare se la casa, per struttura, ubicazione e terreno su cui poggia, sia compatibile con le prescrizioni antisismiche.

Fig. 17 – Fonte: ‘Ufficio federale dell’ambiente (UFAM)’ – Ritaglio di documento
Esempio di edificio consolidato ex post con pareti in cemento armato (Friburgo).
Cfr. anche Fig. 3
Ragguagli sull’edilizia antisismica sono forniti dall’UFAM a questi indirizzi:
Edilizia antisismica in Svizzera
La sicurezza sismica del nostro edifico è sufficiente?

 

Un ultimo cenno sul grado di esposizione di uno stabile a un eventuale sisma deve necessariamente riguardare le caratteristiche del sottosuolo locale su cui poggia la costruzione. Stiamo parlando di uno spessore sotto le case che va dai 10 ai 60 metri circa. Le qualità materiali prevalenti in questo mezzo sono determinanti nella trasmissione dell’energia del sisma verso le opere umane.
A questo proposito va subito affermato che, a parità di altre condizioni, le case che sorgono su sottosuoli duri o rocciosi sono più sicure. Uno strato morbido tende ad assorbire l’energia ondulatoria di un sisma, un po’ come un ammortizzatore; e questo può ritenersi un valido ostacolo alla diffusione delle scosse sul territorio. Per converso, la morbidezza o l’incoerenza del mezzo geologico è causa di minore resistenza alla sollecitazione sismica e quindi di oscillazioni locali più ampie. Ciò costituisce una minaccia per le costruzioni umane soprastanti che vengono sottoposte a flessioni di grado maggiore.

In linea di massima, i sottosuoli morbidi sono presenti dove nel tempo geologico si sono costituiti spessori alluvionali, ovvero materiale fine depositato da laghi, fiumi o torrenti. Per fare un esempio, è questo il caso delle case che in Valposchiavo sorgono sui coni di deiezione, formazioni derivanti dal deposito a valle dei torrenti che scorrono sui fianchi montani. Questi terreni sono di solito più stabili, rispetto ad altre aree montane, tuttavia in caso di terremoto trasmetterebbero maggiori scuotimenti alle case.

Fig. 18 – Fonte: ‘Science souls’ – Ritaglio da documento
Esempio di un cono di deiezione su cui sorgono diverse abitazioni. In caso di sisma queste case sarebbero le più sollecitate.

 

Magnitudo

Come viene inquadrata l’intensità di un terremoto?
In passato i media citavano spesso la ‘scala Mercalli’ (MCS), suddivisa in dodici gradi. Si considerava se la scossa fosse stata registrata solo dalla strumentazione, se fosse stata avvertita da poche o molte persone, se avesse comportato la caduta di comignoli, se le case si fossero seriamente danneggiate, se fossero morte delle persone, se il suolo risultasse sconvolto, eccetera.
S’intuisce bene che gli effetti elencati in progressione, per quanto d’inquadramento abbastanza semplice, non sono funzione soltanto dell’azione del terremoto, ma anche di fattori indipendenti, come, ad esempio, la resistenza degli edifici.

La scala Mercalli è ancora oggi impiegata per descrivere le conseguenze di un sisma, ma per restituire una stima oggettiva della sua intensità fisica si deve prescindere dalle conseguenze più o meno gravi che si verificano sul suolo.
L’obiettivo è infatti quello di riferirsi unicamente all’energia liberata dalla tettonica nello spazio sotterraneo e poi scaricata in superficie. Ci si rapporta allora all’ampiezza della sollecitazione ondulatoria rilevata dai vari sismografi posti sul territorio. Questo è il concetto che sta alla base dell’impiego della ‘scala Richer’, concepita nel 1935. Il valore della ‘magnitudo’ appartiene a questa scala continua di misure. La semplice formula che la restituisce è la seguente:

M = log(A/B)

Risulta da quanto scritto che la magnitudo M è pari al logaritmo (in base 10) del rapporto tra due ampiezze di oscillazioni prodotte al pennino del sismografo: l’ampiezza A e l’ampiezza B. Bisogna dunque capire perché si usi il logaritmo e di che due ampiezze sismiche stiamo parlando.
Cominciamo dal logaritmo. La scala Richter deve rendere conto sia di sismi non percepibili dai sensi umani, sia di scosse molto violente. Come si può intuire, l’energia in gioco può differire di vari ordini di grandezza. Ecco dunque che, per potere condensare le possibili occorrenze telluriche in una finestra di valori non troppo ampia, si ricorre alla scala logaritmica; essa comprime i dati.

Per ogni aumento di un punto nella misura della magnitudo l’ampiezza di oscillazione s’incrementa di 10 volte. Per ragioni fisiche, a ciò corrisponde un’energia rilasciata 31.6 volte maggiore. Così, per fare un esempio, in un terremoto di magnitudo 6 viene liberata in superficie 31’554 (31.6 x 31.6 x 31.6) volte più energia meccanica che in uno di magnitudo 3.

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Fig. 19 – Fonte: ‘Osservatorio Ambientale Val d’Agri’ – Ritaglio da documento
La grafica illustra una scala di magnitudo con il corrispettivo di energia liberata e le occorrenze del sisma sul globo. Come si può vedere, un terremoto come quello recente di Amatrice corrisponde in termini energetici alla bomba “Little Boy” sganciata su Hiroshima. Nell’illustrazione manca il terremoto del 2011, scatenatosi in Giappone con relativo Tsunami. Tale sisma ha avuto una magnitudine pari a 9.

 

Veniamo ora alle due ampiezze A e B della formula.
I sismografi che rilevano la scossa possono risultare più o meno distanti dall’epicentro del terremoto. Essi offrono solo un’indicazione dell’energia residua che li investe localmente, facendoli oscillare. Per classificare l’evento occorre però stabilire quale sia l’entità totale dell’energia liberata nell’epicentro. Si capisce che ci vuole un termine di confronto.

Si prende in considerazione un terremoto di riferimento, insomma un sisma standard. Ci si chiede allora: quale sarebbe l’oscillazione del sismografo se, in luogo della scossa effettivamente rilevata, si fosse prodotto nell’epicentro il terremoto standard? Questo è esattamente il valore B che compare nella formula. Il rapporto A/B ci dice pertanto quante volte l’oscillazione A causata nel sismografo dal sisma reale sia superiore a quella B del terremoto di riferimento. Dopodiché, si calcola il logaritmo di questo rapporto.

Qual’è dunque il terremoto standard di riferimento? Richter specificò a suo tempo che si tratta di quel terremoto che a distanza di 100 km produce un’oscillazione di 0.001 mm nell’ago di un sismografo classico (di tipo Wood-Anderson).

Come si fa operativamente a calcolare il rapporto A/B? Bisogna prendere in esame le oscillazioni registrate da vari sismografi, posti a varie distanze dall’epicentro (d’individuazione non immediata) per farsi un’idea di come è stata irradiata la sollecitazione sismica. Ciò spiega perché la stima della magnitudo richieda sempre un po’ di tempo per essere affidabilmente effettuata.

Come accennato, la magnitudo è un riflesso dell’energia meccanica sprigionata nel sottosuolo, tuttavia, derivando da un rapporto tra due ampiezze, essa è una grandezza adimensionale, ovvero la sua unità di misura non è assoluta e non è fisica.
Va aggiunto infine che i sismologi hanno sviluppato sui principi di Richter una misura della magnitudo che è indipendente dai particolari strumenti sismografici impiegati per la rilevazione delle scosse.

(Nota: per sismi minori il rapporto A/B può essere minore di 1 e quindi il valore del logaritmo può risultare negativo).

 

Considerazioni finali

Nell’intervista concessa il 25 agosto scorso alla SRF il direttore del SED, Stefan Wiemer, affermava: Un terremoto come quello che ha colpito mercoledì l’Italia potrebbe verificarsi anche in Svizzera.
Tutta l’incertezza che una simile affermazione può lasciare trasparire proviene da quel ‘potrebbe’.
Un’altra affermazione di Wiemer che desta qualche timore è la seguente: Negli ultimi 30-40 anni abbiamo avuto un periodo relativamente tranquillo, ma in futuro non sarà così.
Qui l’affermazione sembra più perentoria.
E, poi, ancora, con riferimento a un sisma superiore a magnitudo 6: Ne aspettiamo un altro entro il 2040.
In questo caso è il verbo ‘aspettare’ che mette sul chi vive.
Bisogna fare attenzione all’interpretazione di queste esternazioni, poiché esse sottostanno in questi casi sempre e comunque a un inquadramento di tipo probabilistico. Il concetto di probabilità, a ben vedere, è molto sottile e non sempre viene correttamente inteso dal largo pubblico.

Per chiarire, facciamo un esempio col lancio di una moneta. La probabilità che esca ‘testa’ è uguale a quella che esca ‘croce’ e vale 50%. Poniamo ora che per 10 lanci consecutivi sia comparsa sempre ‘croce’. Dobbiamo aspettarci che all’11-esimo lancio il simbolo ‘testa’ venga più facilmente sorteggiato? Assolutamente no. La probabilità sarà ancora 50%. Su una serie di infiniti lanci avremo sempre metà croci e metà teste.
Un sisma di magnitudo 6 si verifica in media ogni 100 anni circa. L’ultimo è quello di Sierre del 1946 (M 6.1). Quando Wiemer dice di aspettarsi un sisma di magnitudo 6 entro il 2040 non vuole indicare che quell’evento si verificherà necessariamente prima di quell’anno. Intende invece affermare che se esso capitasse entro quella data sarebbe perfettamente in media rispetto alla statistica del passato. Ma quel terremoto potrebbe prodursi anche molto più in là nel futuro; o forse anche domani.
Analogo discorso vale per la previsione sismologica che il futuro della Svizzera non sarà tranquillo come gli ultimi 30-40 anni. Questo non vuol dire che il passato inciderà sugli sviluppi futuri, ma semplicemente che quell’ultimo periodo è risultato meno allineato con la statistica di lungo termine.

Vi sono alcuni segnali che talora preannunciano un forte terremoto. Si possono ad esempio registrare strumentalmente delle serie di microscosse, percepibili o non percepibili sensorialmente. Si possono riscontrare deformazioni del suolo prima inesistenti. Si possono osservare variazioni inspiegabili nel livello idrico dei pozzi. Ci si può accorgere di un’alterazione nel modo in cui le onde sismiche si propagano nel sottosuolo. In alcuni casi si rilevano fughe di radon dal sottosuolo. Persino il comportamento inusuale degli animali può fare testo.
Sia però chiaro: nessuno oggi riesce a stabilire dove e quando si scatenerà il prossimo grande terremoto.

Fig. 20 – Fonte: ‘ETH Zürich (Politecnico Federale di Zurigo)’
Stefan Wiemer, direttore del SED dal 2013.

 

Abbiamo visto che la sismicità della Svizzera è decisamente meno pronunciata di quella dell’Italia. Abbiamo però anche appurato che il territorio svizzero, contraddistinto nei secoli da tanti piccoli terremoti, è stato sede di alcuni eventi seri che si sono succeduti in maniera relativamente fitta (in tre secoli). Ciò illustra quanto la natura possa talora irritarsi, per così dire.
Ricordiamo anche che per gli esperti gli edifici svizzeri sono in massima parte inadatti a reggere a scosse simili a quelle che hanno colpito recentemente l’Italia centrale (magnitudo 6.3).
Per intenderci, se un simile movimento tellurico dovesse interessare la Valposchiavo è verosimile aspettarsi moltissimi crolli di edifici, soprattutto tra quelli più antichi o quelli posizionati al di sopra di sottosuoli morbidi. Quanti sono assicurati contro i terremoti? Un sisma nei Grigioni potrebbe arrecare danni anche alle dighe degli invasi, ma queste sono di solito costruite per reggere a sollecitazioni telluriche molto intense (con tempi di ritorno sui 10’000 anni).

In senso geologico va rammentato che la Svizzera, densamente popolata (fattore d’incremento di rischio), è anch’essa parzialmente interessata dall’incontro minaccioso tra la placca africana e quella euroasiatica, oltre a presentare altri tipi di faglie non proprio rassicuranti. Qualcuno forse potrebbe obiettare: già, ma questo è già incluso nella statistica del passato. Avrebbe ragione? La risposta è: sì e no. Per capirlo bisogna abbandonare l’ottica stazionaria per adottare quella evolutiva; una sfida per i sismologi moderni.

Possiamo vedere la cosa con un esempio. Immaginiamo di lanciare un dado. Ogni faccia ha 1/6 di probabilità di venire sorteggiata. Supponiamo però che, a furia di rotolare, il dado si consumi. Potrebbe in questo modo accadere che la sua geometria e il suo assetto venissero alterati, fino al punto che la probabilità dei singoli sorteggi non fosse più 1/6.
Ebbene, la stessa cosa potrebbe succedere con l’alterazione degli assetti tettonici sotto la crosta terrestre. Il continuo movimento delle placche può mutare la distribuzione probabilistica dei terremoti nello spazio e nel tempo. Si tratta di un ulteriore motivo d’incertezza e, quindi, di cautela.


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Roberto Weitnauer