Erode il Grande al Festival Culturale Origen

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Arrivare alle 17 al passo dello Julier offre un’anteprima allo spettacolo straordinaria grazie al panorama autunnale, dorato come la torre. L’atmosfera respirata all’interno del teatro prima dell’evento è rilassata, conviviale e intima, tipica degli ambienti in cui ogni dettaglio è curato compresa la giusta quantità di posti a sedere. Alle 18 i bicchieri di vino vengono posati e il pubblico prende posto attorno all’atrio del piano terra.
Il palco scende lento dal soffitto al ritmo di un tempo che capiremo mai passato. Le catene scorrono nel meccanismo portando il cielo in terra come fosse una maledizione; il vuoto lasciato al centro è ora colmato dal protagonista degli eventi: il potere.
Erode siede sul trono la cui contesa è causa del processo voluto. Gli accusati sono le mogli Doris e Mariamne con i relativi figli avuti da esse Antipatro ed Aristobulo. La sorella Salomè è con lui a ricordargli che il dominio non accetta misericordia, nemmeno se al banco degli imputati siede la famiglia.

Il re della Giudea processa senza vergogna, come senza vergogna guarda negli occhi ogni singola persona del pubblico camminando a bordo palco. E ha ragione: chi siamo noi per giudicarlo? Il giudizio non è forse la prima forma di malignità? La risposta arriva dal sole del tramonto che, incurante degli accadimenti, entra dalle finestre illuminando Erode come chiunque altro, a ricordarci che tutti siamo simili nella luce come nell’ombra.
E così le ombre dell’anima prendono forma creando danze fra accuse e difese, mosse al ritmo di paure, severità, seduzioni, rifiuti e castighi. Vengono calpestate umiltà e scatenate forze che soltanto l’innocenza riesce a brandire, in un ultimo atto di sfida con cui le madri proveranno a difendere i propri figli. Ma il mantello indossato da Erode, intessuto dalle loro stesse ingenuità e crudeltà, lo proteggerà infine dall’unica possibilità che gli imputati avranno di sopravvivere: provare amore.

Una volta eseguita la sentenza il re torna a sedersi sul trono, stanco; i morti non hanno bisogno di essere visti dall’alto, i morti stanno a terra perché è lì che la ferocia li ha voluti anche se a prenderseli sarà il cielo. Il palco può ora iniziare la sua lenta ascesa per consegnare all’eternità il gesto dell’uomo.
Il vuoto lasciato al centro del teatro viene però presto occupato dal pieno di Erode; è un pieno denso, cercato, accettato e compiuto. Il re della Giudea passa ancora una volta a guardare negli occhi le persone presenti prima di uscire nella notte.

Gli applausi iniziano a scorrere come le catene che hanno sollevato fatti ma non colpe. In seguito il pubblico si alza per uscire e raggiungere la stessa porta varcata da Erode, libero di agire là fuori ieri come oggi, capace di esistere nel giorno come nella notte, ma soprattutto di prendere forma anche in un piccolo vuoto, sicuramente presente in ognuno di noi.

Herodes è l’ultima pièce presentata dal Festival Culturale Origen presso il teatro al passo dello Julier, per la regia di Giovanni Netzer; fino al 20 ottobre 2017. www.origen.ch.
Credits Foto Spettacolo: BenjaminHofer.


Giada Bianchi