Prendendo spunto dalla notizia del centenario del periodico “L’Amico”, Il Bernina ha intervistato l’attuale redattore Alberto Gianoli. In occasione di questa ricorrenza, il numero di questo mese giungerà gratuitamente nelle case di tutta la Valposchiavo (abbonati e non). L’omaggio è stato reso possibile grazie ad un contributo delle Parrocchie.
Signor Gianoli, da quando ha preso in mano la redazione del mensile “L’Amico”? Chi o cosa l’ha spinta a questa decisione?
«Ho assunto l’impegno di redattore de L’Amico a partire dal primo numero del 2011, raccogliendo l’eredità di don Guido Costa, che nel 1995 aveva avuto il merito, d’accordo coi suoi confratelli parroci, di riportare il giornale ad essere espressione di tutte le comunità cattoliche della Valle e non della sola di Poschiavo. Don Guido aveva già da quasi due anni lasciato l’impegno pastorale attivo, rinunciando all’ufficio di parroco a Le Prese e, visto l’avanzare degli anni, aveva chiesto al prevosto di Poschiavo, don Cleto Lanfranchi – che allora era anche decano dei preti della Valle –, di individuare qualcuno che potesse sostituirlo. Credo, anche se di questo non ne abbiamo mai parlato, che don Cleto avesse già pensato a me per l’incarico quando nel 2009 mi scelse come catechista della parrocchia di San Vittore Mauro, sapendo che dopo gli studi di teologia avevo lavorato attivamente come giornalista. Insomma, nel dicembre del 2010 si concretizzò la proposta, e vista la mia passione per il giornalismo e per la comunicazione sociale, la accettai volentieri».
Quali sono state le maggiori innovazioni che lei ha introdotto?
«Come detto, quando ho cominciato nel mio incarico, raccoglievo l’eredità di don Guido. E mi è sempre stato insegnato che, quando si subentra a qualcuno in un impegno, è bene rispettarne il lavoro e osservare come funzionino le cose, prima di apportarvi delle modifiche. Un primo cambiamento fu però stabilito dai preti della Valle: si passò da una pubblicazione quindicinale del giornale ad una mensile. Io chiesi di poter introdurre il colore almeno nel primo e nell’ultimo quarto di stampa, cioè nelle prime e ultime quattro pagine. E da subito le prime pagine diventarono più attrattive. Poi, ho sempre cercato di mantenere fede agli obiettivi originari del giornale: dare spazio alla cronaca, agli appuntamenti e alle celebrazioni, con il calendario liturgico, delle diverse comunità, con un’attenzione però alla Parola di Dio e al respiro della Chiesa locale e universale. Ho, quindi, via via cercato di aumentare i contenuti riferiti al Magistero del Vescovo e del Papa. E mi sono sempre impegnato nel raccontare, seppur coi tempi di un mensile, i principali avvenimenti ecclesiali, offrendo ampli articoli relativi alle encicliche dei Pontefici, ai Sinodi dei Vescovi celebrati a Roma. Ho poi raccontato, andando in stampa il giorno dopo la sua elezione, l’ascesa al Soglio di Pietro di Papa Francesco. Non è mancata anche la cronaca in presa diretta di due Giornate Mondiali della Gioventù, quella di Madrid dell’agosto 2011 e quella di Cracovia del luglio 2016».
L’Amico nacque il 1° dicembre 1917 per spiegare il Vangelo. Al giorno d’oggi quanto è difficile catturare l’attenzione dei lettori su queste tematiche, e soprattutto i giovani?
«Quando nacque L’Amico, non c’era ancora per i cattolici una traduzione completa in lingua corrente della Bibbia e il giornale spesso offriva dei racconti o delle spiegazioni di quei brani delle Scritture che i fedeli potevano udire a Messa in latino. E allora, immagino – perché io oggi fatico a pensare di non poter avere una Bibbia a me totalmente comprensibile a portata di mano –, che ci fosse un profondo desiderio di accostarsi alla Sacra Scrittura per chi voleva essere davvero credente. Dopo un secolo, la Parola di Dio si trova su internet e ci sono delle comode App per smartphone su cui fare ricerche per capitoli e versetti. Ma c’è un desiderio di conoscerla che si è sopito nel cuore di molti uomini. Compito della Chiesa è quello di risvegliare quel desiderio, il giornale può essere uno strumento, ma l’impegno di evangelizzazione o di una nuova evangelizzazione parte da lontano, da quando nelle parrocchie si chiedono i Battesimi per i bambini, quando le coppie chiedono di celebrare il matrimonio cristiano, quando i genitori accompagnano i loro figli ai sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. L’impegno vivo dei parroci della Valle e dei laici che collaborano con loro è quello di essere testimoni credibili del Vangelo di Gesù Cristo. Se questa proposta è efficacie, torna ad essere attrattivo anche uno strumento come L’Amico, che gode comunque di buona salute, di fatto entrando in una casa su due della Valle».
Il primo redattore de L’Amico fu don Tobia Marchioli, proprio durante il periodo del primo conflitto mondiale. Che tenore avevano a quel tempo i contributi?
«Ho avuto modo di sfogliare diversi dei primi numeri de L’Amico conservati nell’archivio parrocchiale di San Vittore Mauro e vi si trovano molti commenti al Vangelo, molti riferimenti alla storia religiosa della Svizzera e locale. Tanti erano gli insegnamenti catechistici e morali, ma non mancava uno sguardo a quanto accadeva in Europa e nel mondo. Venivano pubblicati gli interventi del Papa, le sue encicliche e le lettere rivolte anche ai Paesi in conflitto».
L’Amico è il collante fra le varie parrocchie cattoliche della Valle. In tal senso sarebbe prematuro anche solo pensare a una collaborazione con le comunità protestanti?
«Dire che sia L’Amico il collante tra le varie parrocchie cattoliche della Valle potrebbe essere lusinghiero per il giornale, ma è certamente esagerato. Il collante – e non potrebbe essere altrimenti – è la fede nel Dio di Gesù Cristo, vissuta all’interno della Chiesa cattolica romana. Per questo credo che L’Amico perderebbe la sua natura se diventasse espressione anche delle Comunità riformate. I riferimenti costanti al Magistero papale e del Vescovo, ad esempio, non avrebbero per i riformati lo stesso interesse che dovrebbero avere per i cattolici».
L’edizione attuale è cartacea, ma con la diffusione del giornalismo in rete non sarà possibile renderla anche digitale?
«Anzitutto, mi piacerebbe che potesse diventare un patrimonio digitale della rete l’archivio degli ultimi cento anni del giornale. Poi certo si potrebbe pensare ad una versione anche digitale delle prossime edizioni, ma vanno anche considerate le forze a disposizione: io sono l’unico che si occupa della redazione e della composizione del giornale ed è fondamentale che ci siano mensilmente i contributi volontari dei diversi sacerdoti attivi nella pastorale in Valle. Una versione digitale richiederebbe del lavoro aggiuntivo, altrimenti il rischio sarebbe di avere due prodotti, uno cartaceo e uno digitale, poveri di qualità, a scapito di quello attuale. Che, invece, se si trovasse un accordo tra la Tipografia Menghini – che da sempre lo amministra – e i parroci, potrebbe magari essere reso disponibile per abbonamento a chi sceglie, magari con dei costi più vantaggiosi, la versione digitale del medesimo prodotto cartaceo».
A cura di Achille Pola e Ivan Falcinella