Memorie di Giovanni Palmino Zala edite da Rico Beer

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Ultimamente mi è capitato tra le mani un libro singolare: la riproduzione anastatica (vale a dire senza alcun intervento correttivo e migliorativo) di un manoscritto in lingua italiana risalente a circa un secolo fa, finora inedito, intitolato Memorie per G. Palmino Zala, con traduzione tedesca a fronte. Giovanni Palmino Zala (1886-1969) è il nome completo dell’autore, di cui si è quasi persa la memoria pur trattandosi di un maestro di scuola elementare di Brusio della prima metà del secolo scorso, autore di alcune poesie pubblicate sull’Almanacco dei Grigioni. Flavia Pugliese è il nome della traduttrice, e Rico Beer quello del curatore, pronipote di una sorella dell’autore. Beer ne ha fatto un’edizione limitata, di valore bibliofilo, ad uso esclusivo dei parenti e degli amici. Ma il libro, a mio modo di vedere, è di interesse generale e merita pertanto di essere presentato al pubblico.

Si tratta delle memorie dell’adolescenza e della giovinezza di Zala: tre anni in un collegio a Tesserete senza vedere i genitori, fuga verso casa, pessima accoglienza da parte del padre; un anno di manovalanza in Valle; tre anni di emigrazione a Norwich, Londra e Southampton; avventure rocambolesche ed esperienze traumatizzanti di sfruttamento, maltrattamenti e ingiustizie, ribellione e autodifesa con il coraggio della disperazione; sconsiderato arruolamento nella legione straniera inglese, tempestiva resipiscenza e fuga su un transatlantico fino a New York. Infine il ritorno a casa. Tutto questo dai dodici ai diciannove anni.

Qui l’autobiografia si arresta. Ma queste memorie sono di una tensione drammatica e di un’originalità linguistica tale che ci fanno rimpiangere che non ci sia pervenuto anche il racconto del resto della vita di quest’uomo. Presterà infatti il servizio militare in patria, frequenterà la Magistrale di Coira a partire dal 1917 conseguendo il diploma di maestro nel 1920. Otterrà un posto di insegnante a Brusio, pubblicherà come già detto varie poesie. Nel 1924 si unirà in matrimonio con Maria Giacomina nata Pagani, vedova Spada, ma non avrà figli. Intorno al 1930 partirà per l’Argentina e morirà nel 1969 a Buenos Aires all’età di 83 anni.

Per dare un’idea del fascino di queste memorie non trovo paragone più calzante che quello con i migliori racconti del Libro Cuore (come Dagli Appennini alle Ande o Piccola Vedetta Lombarda per intenderci) e con certe pagine dei Promessi Sposi (l’aiuto elargito dai Frati Cappuccini). Con De Amicis ha in comune l’attenzione ai problemi sociali delle città e della campagna, l’amore filiale, il forte sentimento patriottico. Ma si distingue da lui nella struttura del libro; le Memorie non sono scritte in forma di diario, bensÌ strutturate come un unico racconto, un vero e proprio romanzo in prima persona, e le avventure narrate non sono di terzi ma dell’autore stesso. Dal Manzoni sembra invece aver mutuato l’inclinazione allo scavo psicologico, la dirittura morale, l’intento pedagogico e in particolare la propensione all’ironia anche in momenti critici. Fa pensare ai due grandi scrittori anche il suo linguaggio riflesso, anche se non del tutto esente da qualche lieve pecca (morfosintassi), di modo che le sue Memorie costituiscono un documento prezioso della lingua colta della società poschiavina di un secolo fa, dei maestri in primo luogo, con tante finezze, citazioni dantesche, uso di espressioni idiomatiche oggi dimenticate.

L’omogeneità linguistica e l’unità contenutistica di queste Memorie, fanno pensare che l’autore non si sia basato su annotazioni diaristiche, ma che, servendosi della memoria alla maniera di Benvenuto Cellini, abbia raccontato di getto quegli anni di vita in epoca più tarda, (anni Venti quando Achille Bassi scrisse il suo capolavoro dei Pusc-ciavin in bulgia), sicuramente dopo gli studi di maestro. Studi che hanno fortemente alimentato la sua vena pedagogica, di cui i testi offrono cospicua testimonianza. Non si accontenta infatti di raccontare le sue vicissitudini. Di ogni viaggio compiuto e di ogni luogo visitato ci offre una toccante descrizione, basata non solo sui ricordi ma anche su ricerche compiute in seguito. Inoltre li documenta con cartine e disegni copiati da qualche modello ma di notevole qualità, come il viaggio da Tesserete a Brusio, compresa una veduta del Lago di Como con battello all’altezza di Menaggio e Bellagio. Così il viaggio da Brusio a Norwich e le sue ulteriori esperienze sono corredate da cartine e da scorci di Norwich, Londra, Southampton, oltre che di attente osservazioni su strade, piazze e giardini, monumenti e musei (il British Museum e il Louvre) commerci, fenomeni migratori, quartieri di lusso e quartieri di miseria, con particolare attenzione per questi ultimi.

Molto importanti sono i sentimenti: la nostalgia, l’avversione (per non dire l’odio) verso il padre troppo severo, che sfocia però in tenerissimo amore e, come già detto, lo spirito patriottico. Assimilato a quello della Piccola vedetta lombarda o del Tamburino sardo potrebbe essere frainteso e richiede pertanto una precisazione. È evidente in lui un profondo rispetto per tutte le patrie, tipico di una persona matura. Tuttavia il suo cuore batte per la croce bianca in campo rosso. Passando ad esempio da Lugano, esalta la difesa dei Luganesi quando le truppe provenienti da Campione tentarono di annettere il Ticino alla Repubblica Cisalpina. Grande è il suo amore per la lingua italiana, sulla quale si sofferma a più riprese. Sente una particolare affinità con tutti quelli che la parlano – e occasionalmente la sa sfruttare –, ma la coscienza della sua identità brusiese, poschiavina, grigionese ed elvetica è imperturbabile. Comincia l’ultimo capitolo con un diligente disegno della bandiera svizzera e lo conclude con una sua poesia patriottica.

A volte alquanto libera, ma sicuramente dignitosa, è anche la traduzione della signora Pugliese. Traduzione stampata su carta bianca, intercalata tra le pagine marroncino del manoscritto. Con la stessa tecnica è riprodotta anche la copertina. A mio avviso si tratta di un importante documento concernente la nostra emigrazione e meriterebbe di essere divulgato e conosciuto come l’epopea dei Pusc-ciavin in bulgia di Achille Bassi.


Massimo Lardi