La forza della tradizione nella cultura digitale

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Riflessioni post Allocuzione

E’ un appuntamento a cui non rinuncio, anche quando non ho la fortuna di trascorrere l’inizio del Nuovo Anno nella Confederazione; l’Allocuzione di Capodanno del Presidente è sempre occasione di riflessione, con il pregio, sconosciuto in altri Paesi, di essere assai sintetica. Messaggi essenziali che, il più delle volte, restituiscono un quadro pragmaticamente ottimista, per nulla scontato in questi lunghi anni di turbolenze nel mondo. Apprezzo molto l’eloquio diretto, che è anche espressione di un popolo maturo, in cui i cittadini responsabili scelgono e decidono, non si aspettano prediche salvifiche, ma idee chiare e soprattutto franchi, semplici auguri, come si fa tra pari.

Le allocuzioni di Capodanno mi piacciono tanto perché parlano di futuro; non sono riletture, più o meno retoriche, dell’anno trascorso, sono squarci sul tempo che sarà. Rompono i paradigmi di comunicazione più tradizionali, tanto amati in altri Paesi. E poi mi mettono di buon umore perché mi offrono qualche spunto di confronto e di approfondimento; talvolta mi sono pure di conforto perché mi dimostrano come nel mondo ci sia ancora chi parla ai cittadini, con pacatezza e convinzione, di fiducia, futuro e speranza.

Quest’anno mi ha colpito il richiamo di Ueli Maurer allo smartphone (per inciso, la nuova foto ufficiale del Consiglio Federale è stata scattata con uno smartphone, unico vincolo posto ai sette giovani apprendisti a cui è stato affidato il compito). Sinonimo di “progresso tecnologico, di un mondo del lavoro in evoluzione“ lo smartphone mette in luce la dicotomia tra virtuale e reale, limitando – come ha osservato Maurer – lo scambio interpersonale. Un aspetto sempre più oggetto di studi, che attira l’attenzione soprattutto delle generazioni nate senza questa tecnologia e approdate a essa in età più o meno matura. Per i giovanissimi che lo utilizzano da sempre, la relazione con i coetanei mediata dalla smartphone non è poi così diversa, dal punto di vista della percezione, dalla relazione personale. Anzi, pare essere decisamente più semplice e spesso meno coinvolgente.

Le parole del Presidente, però, mi hanno evocato una lettura fatta tempo fa, “Nello sciame Visioni del Digitale”, testo scritto nel 2013 dal filosofo sessantenne Byung Chul Han, docente all’Università della Cultura di Berlino; è un saggio provocatorio, decisamente contro corrente rispetto alla letteratura più recente, ma proprio per questo capace di suscitare riflessioni critiche. Nel suo argomentare Han dichiara che “lo smartphone bandisce ogni forma di negatività: per suo tramite si disimpara a pensare in maniera complessa. Fa avvizzire le forme comportamentali che richiedono ampiezze temporali e lungimiranza. Esige rapidità e miopia e dissolve ciò che è lungo e lento”. Il digitale, osservare sempre Han, è cultura che conta (da Digitus, dito che conta), mentre la storia è racconto; due visioni radicalmente diverse del tempo che (ma questa è solo una mia congettura) si incontrano proprio nella tradizione, in quei valori che caratterizzano ogni comunità e che nell’Allocuzione sono stati sintetizzati dalla metafora della mucca di legno.

Con tempi e ritmi propri, frutto di modestia, efficienza e puntualità, la Svizzera sta costruendo un originale approccio alla cultura digitale, facendo convivere realtà (come il commercio di prossimità) che in altri Paesi sono da tempo in crisi; è un equilibrio davvero speciale, un sentiero appena tracciato (lo Swiss Digital Day è un esperimento stimolante), il cui sviluppo, ne sono convinta, sarà facilitato proprio dal federalismo, che nei suoi fondamenti logici e operativi è l’inconsapevole antesignano della logica digitale.


Chiara Maria Battistoni