Caccia ed armi in Valposchiavo, binomio in controtendenza con il resto del Cantone

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Nei due oggetti federali passati per le urne domenica scorsa, 19 maggio 2019, il popolo elvetico ha riconfermato – per una volta in più – di volersi fidare delle indicazioni suggerite da Parlamento e Consiglio federale. La legge sulla riforma fiscale e sul finanziamento dell’AVS è stata accettata dal 66,4%, mentre la direttiva UE sulle armi dal 63,7% dei votanti, nonché dalla stragrande maggioranza degli stati; l’unica nota fuori dal coro è provenuta dal Canton Ticino, che ha respinto con il 54,5% di voti la direttiva UE sulle armi. Il voto ticinese è rispecchiato, nel contesto grigionese, soprattutto dalle valli di lingua italiana. Nella regione Moesa il NO ha raggiunto il 71,77% dei voti, a sud del Passo del Bernina il 60,68% e in Bregaglia il 51,36%.

Un fenomeno che trova in parte spiegazione nel forte radicamento delle società di tiro (contrarie alla direttiva) fra le genti del Grigionitaliano, come spiegato in un articolo apparso il 21.05.19 sulla Südostschweiz (SO) a firma di Hans Peter Putzi, e che può forse anche essere interpretato – vedasi il commento del podestà di Poschiavo Giovanni Jochum riportato nel medesimo articolo – come un voto a favore del federalismo e contro i poteri stranieri (UE). In Valposchiavo, continua Jochum, il voto contrario potrebbe pure essere stato dettato dal timore di un aumento di costi, burocrazia e controlli paventato dagli oppositori della nuova direttiva.

Gettando però lo sguardo oltre confine, si può pure ipotizzare che gli svizzeri di lingua italiana, che seguono molto da vicino le vicende politiche del Belpaese, siano stati influenzati dagli slogan elettorali della Lega di Matteo Salvini e da una serie di leggi e decreti recentemente attuati dal governo italiano (sulla legittima difesa, sulla chiusura dei porti alle navi ONG, ecc.) che sembrano andare incontro a istanze di maggiore libertà del cittadino e maggiore sovranità dello Stato. Una tendenza che, oltre a polarizzare ed esacerbare il clima politico in Italia e fra i paesi dell’UE, a sud della Svizzera sembra anche favorire l’UDC, che negli ultimi tre decenni ha fatto di questi temi il suo cavallo di battaglia e che si era chiaramente espressa contro la direttiva UE sulle armi (Sviluppo Schengen). 

Fra i votanti grigionesi domenica scorsa si è però consumato anche un altro scontro indirettamente legato al tema delle armi: l’iniziativa sulla caccia speciale. L’esito risicato dei NO (54,23%), se da un lato rassicura le autorità cantonali sul fatto di proseguire nella strategia a due livelli, dall’altro – come indicato dallo stesso ispettore cantonale Adrian Arquint (pag. 5 della SO del 21.05.19) – impone un ripensamento sull’eventuale apertura, in alcune regioni, delle bandite federali alla caccia regolare, analogamente a come è avvenuto nel progetto pilota in Prettigovia. Non ha nascosto la sua delusione, invece, il promotore dell’iniziativa per l’abolizione della caccia speciale Christian Mathis, che afferma tuttavia che almeno la metà dei cacciatori la penserebbe come lui e che il tema della caccia speciale tornerà presto alla ribalta (ibidem).

Mathis si sarà però certamente rallegrato dell’esito del voto nel Comune di Poschiavo, che ha accolto la sua iniziativa con il 55% dei voti, mentre a Brusio i favorevoli si sono arrestati al 45% in linea con la media cantonale. Sommando i numeri dei voti dei due comuni, il 52% di chi ha votato in Valposchiavo è per l’abolizione della caccia speciale, tanto da apparire come un ammonimento a governo, parlamento e autorità di vigilanza sulla caccia retici. D’altro canto, però, non si possono non vedere delle analogie tra il voto espresso sulla caccia speciale e quello sulla direttiva sulle armi, laddove la detenzione e l’uso in piena autonomia delle armi sono fortemente legati all’attività venatoria. È pertanto ipotizzabile che, pur senza essere cacciatori, buona parte di chi ha optato per il NO alla normativa sulle armi, abbia pure espresso il proprio consenso all’iniziativa promossa da Mathis.

Non dà invece adito a molte speculazioni la valanga di voti usciti dalle urne valposchiavine relativi all’approvazione delle aggiunte ai contratti di concessione e riversione con Repower. Tuttalpiù lo si potrebbe interpretare come un atto che segue l’esito delle precedenti votazioni avvenute nel 2010 a Poschiavo e nel 2011 a Brusio e come un segno di riconoscimento verso un’impresa idroelettrica che dà lavoro a moltissimi convalligiani e che intende investire ulteriormente sul territorio. Dopo le recenti crisi del mercato energetico e i vari cambiamenti di strategia di Repower, oggi sarebbe però molto difficile pronosticare, a soli dieci anni di distanza, l’esito di un’ipotetica nuova votazione per la concessione al progetto Lago Bianco.

Assieme alle aggiunte ai contratti Repower i cittadini di Brusio hanno espresso parere favorevole anche per il rinnovo della casa comunale. Il 68% di SÌ agevola la realizzazione del progetto, ma quasi un terzo di cittadini contrari a un rinnovo di un immobile costruito fra il 1959-1962, che deve necessariamente essere messo al passo con i tempi, induce ad una breve riflessione. Se da un lato, considerata la volumetria dell’edificio, la cifra di CHF 1’080’000.- prevista per il rinnovo a qualcuno può essere sembrata eccessiva, dall’altro, invece, il dissenso di quasi un terzo dei votanti può essere letto come un voto di protesta verso l’attuale gestione politica del comune. È tuttavia confortante notare lo sbalzo in avanti dei cittadini brusiesi affluiti alle urne, il 57% degli aventi diritto, rispetto all’ultima votazione relativa a un oggetto comunale (l’accordo per la gestione dei rifiuti alla Regione nel 2017) per cui aveva votato solo il 43% dei cittadini.


Achille Pola