Meglio il Bolscevico per i contadini valposchiavini!

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Niente paura e niente politica, per carità. Semplicemente i campicoltori poschiavini hanno scelto quest’anno per il grano saraceno il seme russo Devyakta, mentre sembrerebbe preferibile il seme “storico” Bolscevic 4” (anche questo russo, ovviamente). Preferibile per quanto riguarda la formazione di composti fenolici, che svolgono un ruolo importante nella protezione delle cellule e dei tessuti contro i fattori di stress (1). Ma naturalmente questo è solo uno dei parametri da tenere in considerazione.
Abbandonato il registro più o meno scherzoso, notiamo che da qualche tempo in Valtellina da una parte si guarda alla Valposchiavo come esempio organizzativo del sistema agroalimentare (dai campi alle tavole dei ristoranti, per usare termini noti). Dall’altra i coltivatori di Teglio si interrogano sui semi da privilegiare per le colture storiche di grano saraceno e segale.

A questo proposito nei giorni scorsi a Teglio abbiamo partecipato ad un incontro proprio tra produttori di grano saraceno. C’è la volontà di cooperare (ma che non si parli di cooperativa!), comperando e programmando l’uso di piccole trebbiatrici, per esempio. Perchè a Teglio si è tornati a produrre saraceno (e segale), ma non mancano i problemi. Eccoli. La farina non viene acquistata dai ristoratori locali, né viene utilizzata regolarmente dalla locale Accademia del Pizzocchero. Il Comune con fondi europei sovvenziona con tre euro al chilo la produzione. Però non mancano i furbetti: c’è chi semina, passa in Comune ad incassare il contributo, e poi, anziché mietere, che è la parte più complessa per le parcelle piccole e disagiate del territorio tellino, lascia sul campo le messi, provvedendo più avanti ad arare e a ricominciare il ciclo. l rappresentante del Comune presente all’incontro ha chiesto ai coltivatori onesti presenti di collaborare, studiando insieme misure di controllo.

Come si diceva sopra, sono state citate più volte le buone pratiche valposchiavine, sia del gruppo consorziato dei contadini, che dell’Ente turistico e dei ristoratori, nel promuovere, solo per esempio, un piatto di pizzoccheri 100% Valposchiavo. Per inciso proprio in questi giorni abbiamo colto qualche scricchiolio nella filiera. Un ristoratore valposchiavino ci faceva notare che è difficile vendere un piatto di pizzoccheri “genuini” a 25 franchi ai turisti (che li pagherebbero anche), come agli operai. E quindi ha scelto una via di compromesso: 19 franchi per tutti. E ci è stato ricordato qualche problemino nel trovare farina valposchiavina. Del resto il grano saraceno tellino come non viene acquistato a Teglio, non viene preso in considerazione in Valposchiavo. E per fortuna che i tellini hanno trovato per la loro limitatissima produzione (200 chili) uno sbocco nel Tiranese e nel Sondriese.

Durante l’incontro tellino, ma anche successivamente in altre sedi, si è parlato di semi da usare per saraceno e per segale.
Il professor Fausto Gusmeroli (già docente universitario e dirigente della sondriese Fondazioni Fojanini) ha proposto dati allarmanti sul clima: la temperatura media si è alzata di 2,35 gradi nel periodo osservato tra 1973 e 1980 e tra 2001 e 2018. Un dato che si può anche esemplificare così: la stessa temperatura adesso si trova 400 metri più in alto con evidente impatto sulla flora e sulla fauna. Per resistere meglio agli stress climatici, Gusmeroli ha espresso la necessità di evitare per quanto possibile di ricorrere a sementi standardizzate: insomma la diversità biologica come strategia resiliente. Proprio per questo in Valtellina da tempo è partita la ricerca di semi autoctoni. Una prima mappatura c’è stata spiegata da Patrizio Mazzucchelli, coltivatore e ricercatore, nonché antenna locale dell’elvetica Pro specie rara. Per il saraceno a Teglio è in uso il “Nustran”, come anche a Brusio, mentre a Baruffini (e sempre a Brusio) è stato identificato ed è in uso il “Curunin”. Tutti questi semi sono del classico “Fagopyrum esculentum” (il furmenton). Mazzucchelli però si è anche dedicato ad una tipologia, considerata infestante, che da origine ad una farina leggermente più amara, ma più ricca di proprietà nutritive e salutari: il “fagopyrum tataricum”, più noto come “siberiano” (in dialetto “N’zibaria”), coltivato ad altezze più elevate (oltre che a Teglio, nel Bormiese, e, fino a qualche decina d’anni fa, a Viano).
In questo momento a Sommasassa (Teglio) sono in fase di osservazione una decina di tipi di segale, eventualmente da aggiungere all’autoctona varietà invernale “Teglio”, che dal 1988 è sotto la protezione dell’Ist. Federale Svizzero Agroscope  e della Fondazione Svizzera Pro Specie Rara.
Sarà la Università milanese Bicocca, che analizzerà e confronterà il materiale genetico della segale provata in campo: la stessa cosa (prova in campo e analisi) si farà con i semi di grano saraceno. E proprio nel corso dell’incontro a Teglio un agricoltore ha portato un cartoccetto degli stessi semi (vedi foto) che vengono conservati ed usati nella sua famiglia da quattro generazioni. Insomma ci sono buoni motivi per sperare che vengano individuati sementi locali più adatte ai cambiamenti climatici.

1) Varvara Kazantseva, Agricultural Biology, 2015.


Piergiorgio Evangelisti

2 COMMENTI

  1. Ciao Piergiorgio,
    come sai non sono un campicoltore; però collaborando con il Mulino Aino per la molitura del grano saraceno/furmenton prodotto in Valposchiavo, questo pseudocereale e la sua coltivazione, la sua lavorazione , il suo consumo e le sue proprietà nutritive mi interessano. In questo contesto faccio fatica a trovare un “fil rouge” nel tuo articolo piuttosto impreciso! Per non dilungarmi troppo cito solo alcuni argomenti da te toccati.
    Le sementi russe/bolsceviche usate qui in valle: per quanto ne so, eventuali esperti mi correggano, i nostri campicoltori usano, già da qualche anno, una delle poche sementi biologiche e adatte al nostro contesto presenti sul mercato.
    Conosco i problemi degli amici coltivatori di furmenton di Teglio, che consistono sopratutto nel non essere sostenuti dai ristoratori locali, inclusa L’Accademia del Pizzocchero, e non nella loro “limitatissima produzione (200 chili)”, che in verità credo superi di gran lunga i 50-60 quintali (5000-6000 kg)!
    Infine riguardo allo scricchiolio nella nostra filiera 100% Valposchiavo: certo, non tutti i ristoratori della valle utilizzano la farina di grano saraceno prodotta in loco, a Km zero e Bio, magari! Comunque il tuo interlocutore/ristoratore valposchiavino non é un genio in matematica o in correttezza, se ritiene di dover aumentare il prezzo del piatto di pizzoccheri di ben sei (6.-) franchi usando la farina nera locale. Infatti questa vien venduta dalla cooperativa dei campicoltori, se non erro, a 9.- fr. il kg, cioè forse il doppio del costo di una farina di dubbia provenienza (Russia? Cina? Trattamenti? Molitura?…) acquistata in loco. Dunque se il tuo ristoratore per un piatto di pizzoccheri, esagerando, necessita oltre alla farina bianca anche di 100 gr di farina nera, il maggior costo sarebbe di ca. -,50 fr., cioè 50 centesimi!! Meno di un franco in più per un piatto genuino, a chilometro zero, con farina bio e macinata a pietra, dunque non snaturata dalla molitura industriale e da conservanti … Forse non solo il turista, ma anche l’operaio lo apprezzerebbe, spiegalo al tuo ristoratore! E riguardo al problemino nel trovare il grano saraceno locale ( la molitura avviene al ritmo della richiesta di farina, per avere un prodotto fresco, di qualità), so che la cooperativa dei campicoltori ne ha diversi quintali in riserva. Al bisogno ci si potrebbe certo rivolgere anche agli amici di Teglio, vendono la farina nera a ca. 6.- Euro al kg. (non proprio km zero ma quasi..).
    Cordiali saluti
    Emanuele Bontognali

    • Rispondo volentieri. E comincio dal “ristoratore valposchiavino”. Ho riportato fedelmente quanto dichiaratomi. Aggiungo che egli per il piatto di pizzoccheri considerava i costi di tutti gli ingredienti, non solo della farina di grano saraceno. Confermo anche la sua dichiarazione relativa a difficoltà di approvvigionamento (magari solo contingente).

      Confermo anche che ci sono ristoratori valposchiavini che non si riforniscono volentieri a Teglio. In questo contesto ho parlato di “limitatissima produzione tellina”. L’aggettivo “limitatissima ” è pertinente, se riferita al potenziale fabbisogno dei ristoratori di Valtellina e Valchiavenna.
      Invece è clamorosamente errato il dato riferito alla produzione: io ho scritto 200 chili, invece si tratta di 120 quintali c.a.

      Penultima considerazione. Il mio riferimento alla semente “Bolscevic” era ironico, documentato il riferimento alla presenza dei fenoli. E rispetto alla importante quantità di fenoli ho aggiunto “ma naturalmente questo è solo uno dei parametri da tenere in considerazione”.
      Dunque rispetto la decisione, sicuramente ben ponderata, di scegliere la semente “Devyatka”.

      Da ultimo dici che fai fatica a trovare un “filo conduttore” nel mio articolo: qui alzo le mani e mi rimetto al giudizio di tutti i lettori.