Sembra di vivere in uno scenario distopico, di quelli raccontati in tanti libri di fantascienza molti anni fa; improvvisamente l’inatteso si palesa e mette a rischio le nostre granitiche certezze. Il mondo cambia e ci costringe a rileggere alcuni comportamenti acquisti; alla fine del viaggio, fin troppo scontato scriverlo, saremo tutti cambiati; come, ancora non ci è dato saperlo.
In questo scenario di incertezza, a gennaio il World Economic Forum ha pubblicato un interessante rapporto dedicato alle opportunità di lavoro della nuova economia. Il digitale, inteso come dimensione di vita intensamente connessa, trasforma i tessuti sociali e produttivi; non a caso più che di trasformazione si parla di viaggio digitale, un viaggio che ha un inizio ma non ha ancora una fine certa, in cui spesso anche la meta è in divenire. In questo percorso siamo un po’ tutti “Diginauti” e la nostra sensibilità, la nostra capacità di leggere le nuove mappe che via via si presentano sono tra le capacità più utili per immaginare ciò che sarà.
Il digitale è tra noi da tempo; se lo consideriamo più dal punto di vista filosofico (e metodologico) che tecnologico è addirittura parte della nostra storia. Penso, per esempio, a quando si usavano ghiacciaie e forni comunitari, antesignani di un sistema centralizzato che processa dati ed eroga i servizi definiti oggi “on demand” (a richiesta) o “as a Service” (a servizio).
Oggi disponiamo di connessioni a distanza, sensori e processori per rielaborare i dati e i nodi delle nostre reti non sono più solo le persone ma anche le “cose” che utilizziamo. Lavoriamo connessi e interconnessi, più velocemente di un tempo ma il fattore umano resta cruciale. Come si legge nel rapporto del Wef (2020 Jobs of Tomorrow Mapping Opportunity in the New Economy) tanto i fattori digitali che quelli umani stanno guidando la crescita delle professioni del futuro; si sono individuati sette cluster professionali, legati tanto alle tecnologie che agli aspetti umani, questi ultimi in particolare concentrati sulla cultura dell’assistenza alla persona e della formazione. Giusto per darvi la consistenza del fenomeno, il Rapporto individua ben 96 nuove professioni, pesate in termini di opportunità nel mercato di lavoro; dal 2022 rappresenteranno complessivamente 611 opportunità ogni 10.000 posti di lavoro disponibili, con una crescita più marcata nell’ambito dei ruoli di cura piuttosto che tra le cosiddette professioni green. Osservando i cluster individuati, la crescita più evidente è proprio quella legata alla cosiddetta Care Economy, l’economia della cura, con un incremento dei lavori pari al 37%. Saranno particolarmente apprezzati professionisti nelle discipline del Benessere (il cosiddetto Well-Being), nelle discipline che studiano la simulazione clinica, nell’informatica al servizio dell’assistenza (gestione del dolore, gestione dell’errore e tecniche di riduzione, analisi dei segni vitali, intelligenza artificiale applicata alla clinica), esperti in Deep Learning e Machine Learning.
Ben distanziate rispetto a questo gruppo di professioni, arrivano i cluster “Sales, Marketing e Content” (17% di crescita), Intelligenza Artificiale e gestione dati (16%), Ingegneria e Cloud Computing (12%) e Cultura e persone (8%).
Il quadro descritto offre spunti interessanti se applicati ai territori di montagna; la rete di lavori tradizionali, le attività artigianali così come la promozione di cultura e cura alla persona sono già nelle corde degli ambienti montani e potrebbero trasformarsi in concrete, nuove occasioni di sviluppo, anche in uno scenario così complesso come quello attuale.
Chiara Maria Battistoni
Sono d’accordo con te, Chiara, con il fatto che le nuove tecnologie rappresentano nuove opportunità di lavoro. Lo sono sempre state nella storia dell’umanità. Tuttavia guai a noi se un esperto in “deep learning” dovesse essere ritenuto più importante di chi semina il grano, raccoglie i pomodori o si occupa dello smercio e della vendita dei prodotti agro-alimentari. Nei secoli antecedenti l’era cristiana anche il denaro fu un’invenzione tecnologica che portò nuovi posti di lavoro e contribuì, in seguito, a gettare le basi per l’economia moderna. Ma sicuramente in molti avranno letto qua e là sui giornali, o in internet, il seguente proverbio degli indiani d’America: “Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo pesce mangiato, e l’ultimo fiume avvelenato, vi renderete conto che non si può mangiare il denaro”. Credo che questo motto debba costringerci a guardare con una certa prudenza anche alle nuove tecnologie digitali.
Mi piace questo arrticolo. Io ero analogico e sono diventato digitale. Sono pensionato ma la malattia e l’urgenza
Covid 19 mi hanno fatto cambiare la vita. Grazie Chiara, leggo sempre con interesse i tuoi contributi sul Bernina.
Nando Nussio.