“Rendere visibili: serie di ritratti di persone con autismo”. L’identità restituita.

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DAL 3 AL 10 OTTOBRE 2020 A POSCHIAVO ARRIVA LA MOSTRA FOTOGRAFICA“RENDERE VISIBILI: serie di ritratti di persone con autismo”


RENDERE VISIBILI (seconda parte)

Inizio 2020. È uno degli ultimi giorni della mostra, forse l’ultimo. Per la prima volta varco la soglia del nuovo museo d’arte cantonale a Coira, spazio espositivo all’avanguardia. Oltre alle due signore che mi accolgono alla ricezione non v’è anima viva. Mi consegnano un foglio informativo sulla mostra e poco dopo mi ritrovo al primo piano in un bunker di cemento, dove regna un totale silenzio. Solo. D’istinto scorro un rapido giro della stanza con gli occhi, quasi senza spostarmi, facendo perno su me stesso in pochissimo spazio. E già le ho viste tutte le fotografie, tanto che potrei andarmene subito. Poi lascio che il battito rallenti e mi avvicino al centro della sala sedendomi su una panchina di quelle moderne che si trovano nei musei d’arte, mi rilasso e finalmente mi fermo. Guardo le grandi fotografie appese ai muri e mi chiedo perché meritino di trovarsi lì e come mai qualcuno abbia ritenuto che siano importanti. Vi è appena il tempo per qualche pensiero aggrovigliato e poi eccola riaffiorare limpida, una vecchia sequenza nella mia mente, recuperata non si sa come dallo scantinato del mio immaginario.

Vedo Franco Basaglia nel suo camice bianco che cammina con le mani incrociate dietro la schiena in compagnia di altre persone che lo seguono, mentre entra per la prima volta nel manicomio di Gorizia, primi anni settanta del secolo scorso. Osserva bene e si accorge subito di una cosa. In quel luogo complicato, dove si contiene a fatica il disagio e la diversità, quelli che hanno assunto nel tempo le sembianze di carcerieri hanno tolto ogni effetto personale ai malati. Non ci sono i comodini e mancano quegli oggetti che rendono l’uno diverso dagli altri. Mancano soprattutto le fotografie e le immagini che ricordano una vita, magari anche una vita tribolata, ma pur sempre una vita; quella vita specifica di quella determinata persona. Manca l’individuo, rimpiazzato dalla malattia mentale. Ciò che è diverso, l’altro, in quel luogo è stato omologato, uniformato. Malati, non più persone, tutti con lo stesso camice, lo stesso letto, le stesse lenzuola, lo stesso taglio di capelli (corto), lo stesso trattamento che priva l’individuo di ogni effetto personale, così che individuo non lo è più. Ed è allora che Basaglia, prima di qualsiasi tipo di intervento medico, psichiatrico, scientifico, fa una cosa semplice: fa rimettere tutti i comodini vicino ai letti e chiede agli infermieri di restituire a tutti gli ospiti, di quello che divenne l’ospedale psichiatrico e poi una delle esperienze sociali più importanti del secolo scorso in Italia, ogni effetto personale fra cui soprattutto le fotografie. Fotografie dei propri cari, fotografie proprie, l’identità. Restituirono loro l’identità.

È stato un lampo, un’immagine frutto della mia mente, durata qualche secondo. Poi rimetto a fuoco ciò che mi sta di fronte e vedo la vita. Un padre che guarda suo figlio come un genitore sa. Due sorelle coi visi l’uno di fronte l’altro, mentre si scrutano l’anima. Un bambino che mira lontano, cercando un orizzonte tutto suo. Vedo persone, individui, nomi e cognomi. Vedo ognuno di loro, unico e irripetibile. Rimango lì a lungo, solo con le mie emozioni. Infine mi rialzo e me ne vado via sereno, come uno che ha appena visto l’opera più bella del più grande degli artisti.


Josy Battaglia