Perché le riserve sul vaccino contro Covid-19 sono infondate

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Introduzione

Le statistiche mostrano che tra le nazioni in cui lo scetticismo nei confronti delle vaccinazioni è più elevato figura la Svizzera. La circostanza è per taluni versi strana, dato che il Paese vanta un’eccellente tradizione farmacologica. Al di là del fatto che il segnale non è un gran che edificante per l’immagine nazionale, esso è anche preoccupante in vista della prossima campagna di vaccinazioni, quella auspicabilmente destinata a debellare l’attuale pandemia.
La Svizzera è un paese dove le ore di lavoro pro capite sono basse, mentre elevato è l’ammontare di ore dedicato a Internet nel tempo libero. Questo potrebbe spiegare molte cose. Mai come dall’inizio del secolo il cittadino comune può informarsi via web sui più disparati argomenti; e, però, mai come oggi corre il rischio di essere soverchiato dalle fake news. Per sapersi destreggiare nel mare di notizie che pullulano nella rete occorre riconoscere le fonti attendibili. Non è un compito semplice e non tutti ci riescono.
Il risultato è che molte persone credono di aver maturato competenza, navigando qui e là, mentre invece si sono infarciti la testa di stupidaggini. Il fenomeno prende il nome di “effetto Dunning-Kruger”: le persone poco esperte hanno poca consapevolezza della loro ignoranza e, trovando conferme ai loro bias cognitivi, sopravvalutano enormemente le proprie capacità di giudizio. Si parla anche di “paradosso dell’ignoranza”, perché più le conoscenze adeguate sono manchevoli, più il soggetto acritico può essere portato a sentirsi competente. La condizione diventa pericolosa quando queste persone formano un’opinione collettiva omogenea.
Questo ci porta direttamente alla questione vaccini. I movimenti no-vax in rete sono molto attivi e fanno proseliti, facendo leva sul paradosso dell’ignoranza. Tutto nasce da una grande frode perpetrata ormai 22 anni fa da un mediocre medico britannico, Andrew Wakefield, il padre di tutti i no-vax. Il potere di persuasione dei leader del movimento è riuscito a cancellare dalla memoria di molti ignari cittadini quegli esordi, spesso usando irresponsabilmente racconti del terrore sugli effetti dei vaccini. I meno preparati e i meno saggi abboccano.
Conviene gettare luce sul tema, perché il rischio di rifiuto della profilassi vaccinale pone un’ipoteca seria sulla fine dell’attuale pandemia. Va infatti ricordato che per raggiungere quell’auspicato risultato non basta che un numero elevato di persone (ben oltre l’immunità di gregge) si sottoponga alla vaccinazione, ma occorre anche che la profilassi sia messa in atto in tempi brevi, in modo che l’economia e l’ordine sociale non abbiano troppo a patirne, ma, soprattutto, in modo che il virus non faccia in tempo a mutare, eventualmente sino a costituire una nuova minaccia.

Procediamo per domande tipiche che aleggiano nella popolazione.

1 – La velocità di realizzazione dei vaccini è sospetta?
Molte persone si chiedono come sia stato possibile confezionare vaccini tanto efficaci in così poco tempo, come se nell’attuale offerta delle case farmaceutiche fosse implicito qualche azzardo. Non è così.
Questi prodotti sono stati preparati e testati in tempi record, perché i finanziamenti e gli investimenti necessari per superare le fasi pre-cliniche e cliniche sono stati davvero ingenti, sia da parte dei governi che delle case farmaceutiche interessate. Anche la burocrazia sottostante è stata appositamente snellita.
C’è anche un fattore tipico di cui tenere conto: la sperimentazione sui vaccini è più semplice durante le epidemie, perché i volontari risultano numericamente più contagiati dal patogeno.
Infine, la biotecnologia impiegata per il confezionamento degli attuali vaccini a mRna approntati da Pfizer/BioNTech e Moderna consente di per sé stessa un’implementazione molto rapida e sicura del vaccino (su mRna si veda dopo).
Detto ciò, nessuna fase di verifica è stata saltata o condotta superficialmente. Tutti gli usuali protocolli di sicurezza sono stati rispettati e i dati sperimentali necessari sono stati comunicati alle autorità mondiali. In caso contrario enti molto severi come la Fda americana o l’Ema europea mai avrebbero dato l’avallo per l’impiego di quei vaccini su larga scala.

2 – Ci sono rischi che il vaccino vada a interferire col codice genetico?
Alcune persone temono che i vaccini a mRna finiscano per modificare le caratteristiche ereditarie dei pazienti. Il sospetto nasce probabilmente dal fatto che l’mRna è un acido nucleico, cioè materiale genetico chimicamente simile al Dna che sta nei nuclei nelle nostre cellule.
In effetti, il codice ereditario di Sars-CoV-2 sta proprio nel suo Rna, racchiuso nel capside, la scatoletta virale. Tuttavia, l’mRna che viene iniettato col vaccino nell’organismo non ha nulla a che vedere col nostro codice genetico. Vediamo grossolanamente come funzioni la cosa, prima di pensare a mutanti orrorifici.
In una cellula l’mRna viaggia normalmente dal nucleo della cellula all’esterno, cioè al citoplasma, sempre dentro la cellula. Questa molecola porta l’informazione genetica del Dna verso la sintesi di proteine, per questo viene detta “Rna-messaggero (mRna)”.
I vaccini in oggetto iniettano nell’organismo una molecola di mRna contenuta in microsferule di grasso le quali poi si fondono con la membrana delle cellule, lasciandovi entrare la molecola. Si tratta però in questo caso di un mRna esogeno, uguale a quello che il virus si prepara durante il suo ciclo di replicazione nella cellula invasa. Il virus sfrutta la cellula per sintetizzare nuove proteine dello spike, il braccio con cui si aggancia le cellule. Lo fa proprio in base alle istruzioni di quel mRna.
In pratica, con l’inserimento del mRna contenuto nel vaccino viene favorita la sintesi del solo spike, un pezzo di virus. La conseguenza è che il sistema immunitario viene istruito a riconoscere come antigene quella proteina aliena che la cellula mai produrrebbe. Una furbata.
Ora, il punto è che in nessun caso una molecola di mRna – che sia endogena, derivata dal virus o dal vaccino – può compiere il viaggio inverso, cioè dal citoplasma al nucleo. E anche se riuscisse non potrebbe interferire col Dna ivi residente.

3 – I vaccini a mRna, molto recenti, potrebbero essere inaffidabili?
L’impiego di mRna è quasi una rivoluzione nella profilassi vaccinale umana e costituisce un potenziale straordinario nella lotta contro le infezioni virali. Tuttavia, le prime ricerche con l’uso di mRna risalgono al 1990, quindi l’esperienza fatta è molto solida, seppure il maggiore incremento conoscitivo sia avvenuto negli ultimi anni. Aziende come Pfizer/BioNTech o Moderna non sono partite da zero nella progettazione e realizzazione di questo tipo di vaccini.
Già in precedenza, studiando la prima Sars, si era giunti al progetto di un vaccino a mRna. Poiché però la minaccia costituita da quell’infezione virale si era poi attenuata, le ricerche non sono ulteriormente progredite. In sostanza, si erano fermate alla fase 1 delle tre fasi canoniche di test su campioni crescenti di popolazione.
Con l’avvento di quest’ultimo Coronavirus, analogo a quello della Sars, le indagini sono riprese, forti dei risultati già acquisiti. Si sono così conclusi tutti i trials clinici fino alla fase 3.
Nei trials di verifica metà dei volontari hanno ricevuto il vaccino e metà solo un placebo, cioè un vaccino finto che non fa nulla, a titolo di paragone. Una parte dei trials sono randomizzati in doppio cieco, cioè né i ricercatori né gli esaminati sanno a chi è stato somministrato il placebo. Arrivati alla fine del percorso, i test eseguiti sono davvero tanti (43’000 nel caso di Pfizer/BioNTech). Su questi campioni vasti l’efficacia dei vaccini è andata oltre il 95%, un risultato eccellente e senz’altro indicativo dell’affidabilità del prodotto.

4 – I nuovi vaccini avranno effetti collaterali pericolosi?
Come per tutte le altre vaccinazioni, ci sono ovviamente casi rari e noti in cui la vaccinazione potrebbe essere controindicata: pazienti fortemente allergici, immunodepressi, bambini e ragazzini, donne in stato interessante, soggetti con gravi malattie autommuni. Per il momento questi gruppi sono stati esclusi dai trials clinici, ma verranno inclusi in una fase successiva.
A parte queste evenienze, gli effetti collaterali sono stati attentamente studiati e registrati durante la verifica clinica sui volontari. Va detto che dai rapporti redatti dalle case farmaceutiche si evince che la possibile reazione a questi vaccini è abbastanza robusta a livello sintomatologico: dolore articolare, febbre, astenia, mialgia, cefalea. In una percentuale bassa, ma non trascurabile, si tratta di entità considerate severe, cioè in grado di interferire con le attività quotidiane.
La reattività dell’organismo potrebbe essere più vistosa specialmente dopo la seconda dose di richiamo. I disturbi, quando ci sono, riguardano maggiormente la popolazione giovane. Essi compaiono nel giro di poche ore dalla vaccinazione e svaniscono dopo un giorno o un giorno e mezzo.

Nulla di trascendentale, comunque. Nessuno di questi inconvenienti può porsi come pericoloso in base alla statistica. Inoltre, va tenuto presente che essi rispecchiano un processo di attivazione del sistema immunitario; per quanto siano spiacevoli, si tratta di conferme dell’attivazione delle difese organiche.

5 – Devo temere conseguenze negative a lungo termine?

In quanto agli effetti a medio termine, non ci sono apprensioni. Il nutrito campione testato nei trials clinici è statisticamente significativo ed è scelto in modo tale da essere rappresentativo della composizione della popolazione (genere, etnia, età, ecc). Le risultanze statistiche non danno motivo di temere ricadute dannose su gruppi particolari.
L’insorgenza di possibili effetti ritardati seri nei due mesi successivi alla profilassi sono stati attentamente monitorati durante le prove cliniche da apposite autorità (per esempio negli Usa attraverso il rigoroso “Vaccine Adverse Event Reporting System”). Tali organismi hanno classificato le ricadute negative a medio termine come estremamente improbabili.
Per quanto riguarda effetti avversi eventualmente più distanziati nel tempo, non possono esserci ancora dati, ma occorre considerare che la molecola di mRna inserita nell’organismo è di per sé innocua. Inoltre, essa si degrada molto velocemente dopo che ha svolto il suo compito (fungere da istruzione per la sintesi di una proteina), proprio come avviene col mRna che appartiene alla cellula.
Non v’è quindi ragione di ritenere che il vaccino possa lasciare tracce durevoli nelle cellule. La molecola impiegata è anzi una delle più sicure in assoluto che si possa pensare di usare per combattere una patologia infettiva.
La proteina dello spike, a sua volta, per quanto sconosciuta all’organismo, non ha carattere tossico, né catalizza reazioni pericolose. Essa viene eliminata dal sistema immunitario e può essere presente solo finché c’è del mRna. Abbiamo però appena visto che quest’ultima molecola dura ben poco.

6 – Il vaccino farà entrare un virus nel mio corpo?
L’idea deriva verosimilmente dal fatto che, effettivamente, alcuni vaccini impiegano virus inattivati o indeboliti per stimolare preventivamente il sistema immunitario. Ebbene, va intanto chiarito che non può succedere che questi patogeni tornino a replicarsi nelle cellule, proprio perché la struttura e composizione chimica delle unità inattivate è diversa da quella del virus selvaggio presente in natura e da cui sono derivate.
Nel caso dei vaccini a mRna che si useranno contro l’attuale Coronavirus siamo ancora più lontani da questa eventualità. Come infatti abbiamo visto, non viene iniettato un patogeno inattivato, ma soltanto una molecola che serve come istruzione per far produrre alla cellula la proteina specifica dello spike del virus e non di altro.
Quel pezzo di virus che viene costruito non può certo replicarsi da solo, facendo danni alla cellula. La sua sintesi, avviata dopo l’inoculazione del vaccino (mRna), comporta però il vantaggio di segnalare a futura memoria al sistema immunitario la presenza di un corpo estraneo che appartiene a Sars-CoV-2.

7 – I vaccini conferiranno un’immunità permanente?
Non è noto se i guariti da Covid-19 possano usufruire di una difesa duratura. Al momento, i casi di reinfezione su oltre 75 milioni di contagi confermati nel mondo sembrano molto rari. Risulta difficile distinguere in questa esigua minoranza tra casi dubbi (falsi positivi o falsi negativi), attacchi da ceppi differenti di Sars-CoV-2 e, infine, individui che non hanno mantenuto immunità.
Le immunoglobuline non sono più rilevabili nel sangue dopo circa 3 mesi, ma questo non significa che non possano ricostituirsi più velocemente nel caso di un nuovo ingresso del virus. Inoltre, esiste una difesa cellulo-mediata (linfociti T) che sembra più duratura.
Sul fronte dei vaccini la condizione è simile: non sono ancora disponibili informazioni a proposito di quanto potrà protrarsi nei mesi la risposta immunitaria artificialmente indotta.
Possiamo essere ragionevolmente ottimisti e pensare che la profilassi e la malattia conferiscano la stessa resistenza immunitaria e che questa sia durevole. Tuttavia, a rigore non ci sono garanzie davvero sostanziali, né in un caso né nell’altro.
Il punto però è che una vaccinazione rapida in massa può eradicare l’epidemia, prima che si ponga il problema della durata dell’immunità. Non bisogna lasciare al virus il tempo di attaccare persone che abbiano eventualmente perso l’immunità. Tantomeno, possiamo permetterci di aspettare che il virus muti al punto da non poterlo più osteggiare attraverso l’immunità indotta dai vaccini.
Per la cronaca, i vaccini a mRna qui discussi implicano due iniezioni successive, separate da 3 settimane (Pfizer/BioNTech) o da 4 (Moderna), al fine di costruire nell’organismo una difesa più efficace.

8 – Questi vaccini causeranno nuove allergie?
Il sospetto che i vaccini possano fare insorgere malattie autoimmuni (in cui cioè l’organismo finisce per attaccare sé stesso), evidenziando reazioni allergiche dannose, è un tema per lo più superato.
Ci sono casi, invero rari, in cui si assiste a una correlazione tra vaccino e ingente reazione allergica. Bisogna però tenere conto di un fatto critico: diverse malattie autoimmuni sono latenti e si scatenano in soggetti costituzionalmente predisposti, non appena questi vengano in contatto con un’infezione causata da qualche microrganismo. Succede infatti che l’antigene, cioè il segnale chimico presente sul patogeno, sia simile a quello recato dalla superficie di alcune cellule dell’organismo invaso. Ecco allora che il sistema immunitario, quando è un po’ miope, inizia ad attaccare indistintamente l’intruso e quelle cellule.
Si capisce che questo può succedere anche con un vaccino che rechi lo stesso antigene del patogeno. La “colpa”, per così dire, non è del vaccino, bensì dell’imprecisione del sistema immunitario. In questi pazienti la reazione allergica si scatena infatti sia con l’infezione che con il vaccino. In alcuni casi capita persino che si scateni per ragioni terze.
Negli ultimi anni le malattie autoimmuni sono in crescita, così come le vaccinazioni. Questo ha condotto alcuni a concludere che vi sia un rapporto di causalità tra le due cose. È un errore tipico, giacché la correlazione non implica la causalità. Per esempio, nello stato americano del Maine sussiste una netta correlazione tra il consumo di margarina e il tasso di divorzi, ma questo non significa che un fenomeno sia la causa dell’altro.
Se guardiamo agli studi condotti sul tema scopriamo una condizione rassicurante nei bambini, soggetti molto indicativi: gli individui vaccinati accusano statisticamente meno allergie nei loro primi anni di vita rispetto ai bambini non vaccinati.
Come capita per gli altri vaccini, non c’è motivo di pensare che i vaccini contro Covid-19 debbano fomentare allergie o malattie autoimmuni. Naturalmente, se un soggetto è in partenza iper-allergico, qualunque corpo estraneo iniettato nel suo organismo può scatenare una reazione marcata; ma questa è un’altra storia.

Conclusione
In conclusione, vorrei ricordare quale sia la ratio di fondo di una profilassi vaccinale. Nessun vaccino è sicuro al 100%, così come non lo è in generale nessun farmaco. Ciò non toglie che alla riprova dei test i vaccini contro Covid-19 risultino comunque molto sicuri. Tuttavia, la questione attuale non è data semplicemente dal rischio insito nell’assunzione di un vaccino a mRna (o d’altro tipo), bensì dal confronto di questo rischio con quello che comporta l’infezione da Sars-CoV-2.
Si tratta insomma di mettere sui piatti della bilancia il pericolo di ammalarsi (tutt’altro che trascurabile) con quello (irrisorio) derivante dalla profilassi vaccinale. Il secondo è di molti ordini di grandezza inferiore.
Per chiarire ulteriormente vorrei fare un confronto con le cinture di sicurezza che mettiamo quando guidiamo un’auto. Ci sono dei casi in cui la cintura si dimostra a posteriori controindicata. Capita, ad esempio, quando l’auto s’incendia e la cintura si blocca. Ma quante sono le probabilità sfortunate di questo tipo rispetto a tutti gli altri casi in cui la cintura si rivela invece un salvavita? Sono straordinariamente minori. La cintura è insomma indicata nella stragrande maggioranza dei casi. Lo stesso vale per i vaccini.
Possiamo allora ritenere che sia intelligente rifiutare la vaccinazione contro Covid-19 a fronte del rischio che si corre e che si fa correre al prossimo? Possiamo permettere che le nostre titubanze sulla vaccinazione rallentino il raggiungimento di un’immunità sufficiente nella popolazione, rischiando nel frattempo di ritrovarci un altro patogeno mutato tra i piedi?

Si dovrebbe conoscere la risposta.


Roberto Weitnauer