Desta un po’ di curiosità il sintagma che si trova nel titolo: accanto ad un termine di contabilità vi è posto un attributo sociologico, come se si volessero fare i conti con gli spostamenti delle persone. Ed in effetti è un po’ cosí. Normalmente si tracciano i saldi migratori tra diverse nazioni ad esempio tra l’Italia e la Svizzera oppure tra continenti, tra l’Africa e l’Europa e si definisce positivo quando vi sono più persone che entrano rispetto a quelle che escono. L’ufficio federale di statistica stila annualmente tabelle non solamente in merito ai tassi di natalità e di mortalità ma anche al flusso di persone che emigrano e immigrano in un dato paese. Queste cifre messe assieme permettono di identificare l’aumento o il calo di persone in un dato territorio.
All’interno della Svizzera, lo spopolamento dalla periferia verso i grandi centri è un annoso problema che fa parlare di sé le cronache recenti: la Calanca, la Val Poschiavo e il Ticino sono in costante calo di persone. La ricerca di proposte per controbilanciare questo fenomeno è alquanto complessa e parecchie amministrazioni, associazioni, iniziative private tentano di trovare possibili risposte. Ultima in ordine di tempo, la serata organizzata l’altroieri (1.6.2021 n.d.r.) da Coscienza Svizzera dal titolo, Terra d’emigrazione? Presente e futuro dei giovani ticinesi.
Il punto, su cui vorrei però porre l’attenzione, richiede a parer mio un cambio di prospettiva. Verso quali mete emigrano gli svizzero-italiani? Per la maggior parte, la loro è una migrazione interna, verso i centri urbani della Svizzera. Se dunque dal punto di vista territoriale svizzero-italiano si può constatare un calo di persone, da quello confederato vi è un aumento di svizzero-italiani nel territorio tedescofono o romando. Quindi non vi è un calo di svizzeri di lingua italiana, ma semplicemente uno spostamento all’interno della propria nazione.
A quali considerazioni porta questa constatazione?
Credo che il termine sociologico-contabile nel titolo possa nascondere in sé una cornice di pensiero che porta ad identificare la lingua come fattore distintivo all’interno della Svizzera e non ad un fattore costitutivo dell’essere svizzero. Se l’homo helveticus porta in sé più culture e più lingue, non dovremmo più parlare di saldi migratori interni. Bisogna concentrarsi sui valori condivisi, sulle peculiarità trasmesse anche attraverso codici linguistici diversi, ma che fondamentalmente ci fanno essere tutti svizzeri. Questa riflessione dovrebbe guidare lo Stato, quale entità strutturante, amministrativa e gestionale ad offrire ad ogni cittadino il contesto ideale di crescita, di sviluppo individuale, ponendo le basi per una adeguata convivenza tra tutti gli svizzeri, indipendentemente dalla lingua d’origine che li caratterizza.
Concretamente, dal punto di vista linguistico, si potrebbe auspicare una maggiore considerazione delle ricchezze presenti in Svizzera e quindi, valorizzare e stimolare un plurilinguismo non più solamente individuale, ma sociale, in cui l’accoglienza dell’altro, il sentire parlare italiano a San Gallo, francese a Sattel e tedesco a Biasca non sia visto come un pericolo identitario ma invece una felice caratteristica svizzera.
Luigi Menghini (articolo apparso in tedesco sul Bündner Tagblatt del 3 giugno 2021)