La nostra vita è legata al tempo. Quando in sala parto la testina di un bambino appare qualcuno guarda le lancette dell’orologio e quando un morente chiudi gli occhi succede altrettanto. Che lo vogliamo o no, il nostro “essere” o “non essere” è legato al tempo.
Che nella modernità si sia cercato o si cerchi di modificare questo tempo è risaputo; ed è anche risaputo che esistono motivi che giustificano determinate modifiche. Sono quelli della salute e della sofferenza. Non dovrebbero però essere quelli della sola volontà individuale che segue la convinzione che la vita appartiene unicamente a chi la possiede. Perché non è cosi. Non lo dico per motivi religiosi ma perché ogni vita fa parte di un contesto, appartiene anche al mondo e agli altri. So bene che ci siamo allontanati paurosamente da questa dimensione; eppure dovremmo ritornarci. Come dice lo psichiatra Vittorino Andreoli dobbiamo staccarci dall’IO freudiano per ritornare al NOI.
Capisce questo la politica?
Se mi baso sulla recente discussione in Gran Consiglio sull’aiuto alla morte in casa anziani, direi proprio di no. Non c’è stata differenziazione, non riflessione tra la varietà di situazioni che non si prestano ad una frettolosa permissione. Il parametro è unicamente la volontà (forse la volontà) del singolo individuo e non si vogliono accertamenti o sostegni quali potrebbero essere quelli di una commissione etica cantonale. Non si va oltre nel ragionamento. Qualcuno vuole morire? Si chiamano gli esperti esterni che fanno questo di “mestiere”. La cosa non mi tranquillizza: so per esperienza quanto sia il valore dell’anziano nella nostra società, so che l’anziano può sentirsi molto debole e inadatto a questo tempo moderno e decidere che è meglio andarsene anche se non lo vorrebbe veramente.
C’è il pericolo che si passi da un tempo nel quale si impediva nelle case per anziani, per motivi religiosi di mettere fine alla sofferenza servendosi anche solo dei benedetti metodi della medicina palliativa che sono da preferire a tutto, ad un tempo nel quale la vita si fa terminare da un momento all’altro. Cosa che per me si giustifica solo se c’è sofferenza fisica importante e se veramente la medicina palliativa non è applicabile. Eravamo in due infermiere (tute e due della sinistra tra l’altro) a dire queste cose in Gran Consiglio. Non siamo state capite.
A riprova che la politica non è certo capace di decidere sui temi della vita e della morte. Troppa la superficialità, la mancanza di conoscenza e il rifiuto da parte governativa di istituire un organo indipendente, preposto all’accompagnamento e alla verifica come potrebbe essere un Comitato etico cantonale come già conosce il Ticino.
Nicoletta Noi-Togni