Un’elezione diversa, che fa bene al cuore e alla democrazia

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Aita Zanetti è la Presidente del Gran Consiglio per questo ultimo anno di legislatura 2018-2022. Eletta con 111 voti dal Gran Consiglio in apertura di sessione, deputate e deputati si sono alzati per applaudirla lungamente e calorosamente. Qualcosa che non avevo mai visto prima; e qualcosa di molto bello. Si, perché Aita è una donna semplice nel senso buono della parola, capace di dare attenzione a tutti, di mediare con gentilezza e intelligenza. Deputata in Gran Consiglio solo dal 2018 ha saputo, proprio per quel tratto calmo e gentile e per il suo dire chiaro e convincente, farsi rispettare e voler bene da tutti. Non che Aita fosse digiuna di politica: impegnata a livello comunale – è vicesindaca di Scuol – oltre che societario, presiede una società di utilità pubblica a Sent, nel bellissimo paesino ormai frazione di Scuol dove abita con il marito e i quattro figli. 51 anni, Aita rappresenta in tutto e per tutto il mondo contadino, con il suo viso pulito, il costume engadinese e l’interesse per la natura e la sua gente. Distinta Aita si è per l’uso in scadenza regolare e discreta ma comunque convinta e sicura dell’idioma romancio in Gran Consiglio. Apportando in tal modo anche una legittimazione supplementare alla nostra lingua italiana nell’emiciclo. Infatti a poco a poco è sembrato ovvio intercalare, alla lingua dominante tedesco, anche le altre due lingue cantonali di minoranza. Al punto che dopo il suo anno di vicepresidenza (l’anno appena trascorso) del Gran Consiglio, la presenza delle tre lingue cantonali nei dibattiti sembra essere diventata ovvia. Aita non dimentica di rivolgersi al pubblico anche in italiano facendoci sentire percio’ in identità con lei. Sicuro è che nei miei molti anni di Gran Consiglio non ho mai sentito parlare tanto in romancio, e neppure in italiano, quanto in questi ultimi anni. Un gran merito quindi il suo e bello che invece di un levigato avvocato o di una disinvolta giurista ci sia lei alla guida del Gran Consiglio: un’intelligente e preparata contadina della Bassa Engadina. Auguri Aita e l’invito, già accettato, di una visita nel Moesano.

Nessun premio al personale sanitario per il superlavoro Covid

Certo non lo posso capire e tanto meno accettare. Il Gran Consiglio, nella sessione di agosto appena trascorsa, ha bocciato con 70 voti contrari e 19 favorevoli, la proposta di Renata Rutishauser, deputata e infermiera, che chiedeva di assegnare un premio a quel personale che nelle istituzioni sanitarie aveva dato doppio tempo e lavoro ed aveva arrischiato la vita nella cura degli ammalati Covid e dei pazienti in generale, nelle situazioni particolari delle quali siamo tutti a conoscenza. Questo sull’esempio di altri cantoni in Svizzera che hanno devoluto grosse somme nel sostegno al proprio personale. Le argomentazioni del Governo per rifiutare questa richiesta si rivelavano particolarmente meschine a mio modo di vedere. Andavano dal “c’è chi ha fatto tanto e chi ha fatto poco. Difficile distinguere” al “ci sono Istituzioni che hanno dato qualcosa, altre niente. Devono dare le Istituzioni”. E ancora: “il Cantone non possiede Istituzioni sanitarie proprie e quindi non ha nulla da dire né da dare”. Morale della favola: nessuno darà e riceverà niente! Che dire pero’ dei tanti soldi che ha il nostro Cantone? E che dire della capacità di superare certe barriere mentali che fanno agire non in stretta funzione di regolamenti “di bel tempo” ma in base ad eventi straordinari che richiedono flessibilità di pensiero e d’azione in favore di un interesse superiore. Si perché l’onorare una prestazione che richiede maggior sforzo – non dimentichiamo che c’è stato personale che ha lavorato per ore e ore senza smettere – anche con poco, è in prima linea un segno tangibile di riconoscenza. La riconoscenza, il riconoscere una prestazione origina motivazione. La stessa che avremo bisogno per affrontare una quarta ondata o altre prove simili. Possibile che non lo si capisca? In quanto al voler distinguere tra chi dà tanto e chi dà poco in circostanze difficili, questo serve solo ad allontanarci da quel sentimento di comunità che saremmo, soprattutto noi politici, chiamati a sostenere. Sono convinta che alla società vada restituito quel senso di comunità che la rendeva forte nelle avversità. Questo implica gesti consapevoli e coraggiosi da parte dei politici e non un pensiero ristretto che farà dubitare al personale sanitario di essere apprezzato e capito. Cosa che, proprio in questo momento, non ci voleva!


Nicoletta Noi-Togni