Competenze Green: per tutti o solo per i giovani?

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Lo scorso 23 agosto il World Economic Forum (www.weforum.org) ha pubblicato nel suo sito un articolo assai stimolante, autrice Victoria Masterson, focalizzato sulle nuove competenze richieste ai giovani; riflessioni che hanno alla base studi delle Nazioni Unite (se avete tempo date un’occhiata al rapporto GEO-6 for Youth, United Nations Environment Programme) e del World Economic Forum. Cosa sarà delle nostre società nel mondo post pandemia non è ancora dato sapersi. A mio giudizio è addirittura una domanda mal posta; il mondo è da sempre scosso da catastrofi di ogni genere, alcune naturali altre generate dall’uomo. In tutti i casi la vita ha ripreso a scorrere, in alcuni casi tra mille difficoltà e dolori, in altri con più tranquillità. Negli eventi dirompenti, nelle forti discontinuità (ma non solo) il dopo non è mai come “il prima”; è, semplicemente è ed è diverso.

Per questo leggo con passione rapporti e proiezioni ma mi sforzo di non perdere di vista l’osservazione dei fatti e l’analisi critica dei dati proposti, in testa ben chiaro l’approccio scientifico. I giovani di oggi, ragazze e ragazzi tra i 14 e i 20 anni, hanno davanti a loro praterie da esplorare con la forza dei loro sogni e il rigore delle discipline scientifiche. Per quanto sofferente, il mondo di oggi offre possibilità sconfinate; creatività e rigore metodologico aiutano a dare sostanza ai sogni. Ecco perché, accanto alle più tradizionali conoscenze, è necessario sviluppare nuovi approcci metodologici; lo leggiamo da anni, ed è esperienza di molti di noi: una buona parte dei lavori di domani non sono ancora nati. Non è una novità; è accaduto a molte generazioni sperimentare in corsa nuovi lavori, inventarsi nuove professioni.

Cosa ha sempre funzionato? La capacità di leggere e immaginare in anticipo ciò che offre il contesto, al netto della tecnologia disponibile. Crescere e vivere in montagna aiuta, aiuta molto più di quanto si possa immaginare. Il contatto costante con il cambiamento della natura contribuisce a maturare solidità e resilienza al tempo stesso, aiuta a vivere le cosiddette discontinuità con maggior tranquillità d’animo, aiuta a trovare soluzioni alternative, proprio come quando in montagna siamo sorpresi dal brutto tempo e dobbiamo trovare rapidamente un’alternativa, talvolta una via di uscita, alla nostra escursione. Quando leggo di lavori Green penso sempre a una delle nostre valli, che sia Valtellina o Grigioni; cosa c’è di più Green di una vita trascorsa tra le montagne? Certo, obietterete voti, il termine Green richiama innanzitutto la sostenibilità delle scelte dal punto di vista sociale, ambientale ed economico e non sempre il nostro stile di vita ne è l’incarnazione, eppure la montagna è una straordinaria educatrice, un esempio tangibile di sostenibilità. Un bosco, un torrente, un ghiacciaio sono esempi concreti del Life Cycle Assessment tanto caro alla teoria della sostenibilità.

Mi sentirei di dire, con un po’ di presunzione, che la prima “Green Skill” è proprio questa, saper leggere e riconoscer il ciclo della vita dell’ambiente che ci circonda (magari tornando a osservare il cielo per capire cosa accadrà prima ancora di leggere le previsioni del tempo). Sta di fatto che le mappe di sviluppo delle Green Skill prevedono una solida base scientifica, con conoscenze nell’ambito delle scienze naturali, capacità di pianificazione e progettazione, conoscenze tecnologiche e informatiche, conoscenze nell’ambito dell’agricoltura, conoscenze del diritto ambientale che si va sviluppando, capacità e conoscenze di sistema indispensabili per vedere e far maturare quell’approccio olistico che è tipico della visione circolare e sostenibile. Si parla meno, invece, di allenare giovani e non a leggere, comprendere e valorizzare le relazioni e le interazioni con l’ambiente e la comunità. Qui, forse, sta l’autentica chiave di volta della sostenibilità. Se così fosse aiuterebbe riflettere anche sui quanti. Ma questa è un’altra storia! Ne parleremo.


Chiara Maria Battistoni

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