Mattino presto, una luce dorata illumina le cime delle montagne, pare ferma ma avanza impercettibilmente e tra poco il sole bagnerà tutta la valle, accendendo uno dopo l’altro i filari di vigneti, ormai scaricati dai frutti. E’ tutta la bellezza dei terrazzamenti della Valtellina a riempirmi gli occhi questa mattina. Il giardino regala ancora qualche fiore che raccolgo insieme a qualche ramo d’ulivo, un po’d’acero rosso, ci sta anche del rosmarino che ancora mostra i suoi piccoli fiori celesti e l’arrangiamento è pronto. Oggi scendo in Ticino a trovare i miei morti e porterò questi fiori d’autunno.
La meteo, che ormai ci azzecca sempre, avvisa che domani il tempo cambierà. Arriveranno nuvole grigie, pioggia e nebbia: un cielo da “giorni dei morti” insomma. Non mi lascio immalinconire, vado verso un cimitero con la gioia di un incontro. In fondo la chiamano festa dei morti questa che sta per arrivare, no? Il tempo, quello cronologico, non quello meteorologico, aiuta a relazionarci con loro. Non sparisce il dolore, ma la vita prende il sopravvento, e chi non è più, ha almeno il potere di renderci consapevoli dei nostri giorni e delle nostre emozioni, del nostro vivere.
C’è un gran via vai nei cimiteri in questi giorni, chi pulisce, chi porta fiori, chi fa visite straordinarie, chi si incontra, chi ricorda, chi si commuove, chi consola, chi accompagna, chi resta in silenzio, chi passeggia tra le tombe. Ognuno avrà il suo modo di immaginare la sospensione dopo la vita. I più bravi a farlo rimangono sicuramente i bambini. Un giorno che pioveva uscendo dal cimitero, vedo per terra, appiccicato sull’acciottolato bagnato, un foglietto bianco scritto in stampatello con calligrafia infantile. Mi fermo, e leggo: “povero Luca a soli 3-4 anni è morto. Spero che il suo funerale sia bello e che abbia una tomba comoda”.
Mi ha fatto tenerezza quel pensiero, ma anche sorridere. Per quel ragazzino che si era preso la briga di scrivere, i morti stavano davvero in una tomba a riposare. Mi sono allora ricordata che mio figlio da piccolo, quando morì un parente, mi disse che per lui i morti salivano in alto verso il cielo, e che gli ultimi morti, quelli nuovi, spingevano un po’ più in su i morti precedenti, in una specie di colonna verticale: così lui si immaginava l’infinito. Quella sua osservazione mi fece pensare che effettivamente i nostri morti col tempo se ne andavano a morire sempre un po’ più lontano!
Oggi però, accucciata sulla tomba a sistemare fiori d’autunno, i miei cari mi fanno compagnia. C’è un bel sole, è piacevole star lì a trafficare con forbici e rametti in una conversazione mentale a senso unico. E prima di uscire faccio un giro tra le altre tombe. Quanti visi noti, persino qualche compagno di scuola, poi vicini di casa, amici di famiglia, conoscenti. Mi rivedo bambina, giocare con cugini e altri bimbi tra le viuzze del paese, e rivedo tante di quelle persone, ormai morte da anni, affacciarsi alle finestre, sorridere dei nostri giochi…
Esco dal cimitero, chiudendomi alle spalle il cancello. Ma dove vanno veramente a finire i morti? Quando finiscono di finire? E’ questo il punto, mi dico: non finiscono, diventano pensiero. Il nostro pensiero.
Serena Bonetti