Figlie e figli di Dio?

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Galati 4,7
Sermone del 30 gennaio 2022

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“Tu non sei più servo, ma figlio, e se sei figlio sei anche erede per grazia di Dio”, dice l’apostolo Paolo.

Essere figlie e figli: che cosa vuol dire? Lo sappiamo tutti, perché siamo tutti figli e figlie. Possiamo poi diventare padri e madri, nonne e nonni, ma non cessiamo mai di essere figlie e figli. Non tutti i figli diventano padri, e non tutte le figlie diventano madri, ma tutte le persone sono figlie e figli. E dunque siamo figlie e figli di qualcuno.

Questo è il primo significato, semplice, elementare: essere figlio, essere figlia, vuol dire che non ti sei fatto da te, non sei figlio di te stesso ma di un altro, non sei il creatore di te stesso, puoi generare altri, ma non puoi generare te stesso, non sei creatore, ma creatura. Essere figlio, essere figlia, significa riconoscersi come creatura, significa riconoscere che il tuo creatore è un altro.

Ma c’è un secondo significato dell’essere figlie e figli. Ed è questo: siamo tutti nati all’interno di una storia, che non è solo quella della nostra famiglia, ma è quella del nostro paese, della nostra terra. Siamo tutti figli e figlie di una patria, che appunto vuol dire “terra dei padri”, siamo figli e figlie anche di una lingua, che appunto si chiama “madrelingua”, che non vuol dire solo che è la lingua che nostra madre ci ha insegnato, ma anche che è la lingua che in un certo senso è nostra madre perché con lei abbiamo imparato a parlare, è la lingua “madre” della nostra capacità di comunicare.

Ecco allora il secondo significato dell’essere figlie e figli: significa essere figlie e figli di un mondo, piccolo o grande che sia, figli di un’epoca, di una cultura, di un ambiente sociale, di una comunità, che può essere civile o religiosa. Essere figli significa essere figli di una storia, anzi di molte storie, e queste storie non stanno solo alle nostre spalle, stanno anche dentro di noi, sono come tanti fili che insieme compongono la trama della nostra persona e della nostra vita.

E c’è un terzo significato dell’essere figlie e figli, quello più importante, più misterioso, ma anche più bello, più profondo, più grande e più luminoso: siamo figlie e figli di Dio. Non dunque solo figli di qualcuno, o di una storia, anzi di molte storie, di una comunità, di un ambiente, di un mondo, di una cultura, di una religione, no, molto più di tutto questo: siamo figli e figlie di Dio.

E come mai lo siamo? Perché Dio ci ama. E perché ci ama? Perché vuole che noi siamo liberi. Dicendoci: “Non siete più servi, ma figli”, è come se dicesse: “Non siete più servi, ma liberi”. Liberi e libere in Dio, con Dio, liberi e libere per Dio. Liberi di credere o non credere, ma la libertà più grande è di credere; liberi di sperare o di non sperare, ma la libertà più grande è di sperare; liberi di amare o non amare, ma la libertà più grande è di amare; liberi di pregare o di non pregare, ma la libertà più grande è di pregare, anzi, di lasciare che lo Spirito di Dio preghi per noi gridando il nome di Dio come lo chiamava Gesù: “Abbà, che vuol dire padre”. Siccome sei figlio e figlia, sei libero e sei libera di chiamare Dio come lo chiamava Gesù: “Abbà, padre”.

Questo è dunque il primo contenuto dell’essere figlie e figli di Dio: essere liberi e libere. Non so se noi facciamo sempre uso di queste grandi libertà: della grande libertà di credere, o della piccola libertà di non credere; della grande libertà di sperare, o della piccola libertà di non sperare; della grande libertà di amare, o della piccola libertà di non amare.

Come ci orientiamo, noi? Coltiviamo la grande libertà del dono di sé, del proprio tempo, delle proprie capacità, del proprio denaro, la grande libertà della gratitudine e quindi di amare Dio, il suo regno, il suo evangelo, e di amare anche un po’ questa nostra chiesa, di volere il suo bene e di volerle bene? O invece coltiviamo le nostre piccole libertà dei nostri egoismi, delle nostre ripicche, delle nostre beghe, dei nostri malumori? Coltiviamo la grande, bella e gioiosa libertà delle figlie e dei figli di Dio!

Essere liberi è il primo contenuto dell’essere figlie e figli. Ma ce n’è anche un secondo: “Non sei più servo, sei figlio, e se sei figlio sei anche erede”. Dunque, essere figli significa sì, essere liberi, ma anche essere eredi. E che cosa significa essere eredi? Tra le tante cose che si possono dire, eccone tre.

La prima, è che ci sono eredità belle, ma anche brutte. Allora, la prima cosa da fare è passare criticamente al vaglio ogni cosa che la generazione precedente ci ha tramandato e ritenere solo il bene. Essere figlie e figli significa saper discernere nell’eredità quello che vale da quello che non vale. E scegliere solo la buona parte, di qualsiasi eredità, sia essa politica, morale, spirituale, religiosa.

La seconda, è che ci sono figli e figlie che non sono eredi perché rifiutano apertamente l’eredità (figli non credenti di genitori credenti), o perché pensano che basti essere figli per essere eredi, ma non sanno che per raccogliere un’eredità bisogna farla propria (Giovanni Battista aveva rimproverato farisei e sadducei dicendo: “Non pensate che basti avere Abramo come padre, perché io vi dico che da queste pietre Dio può far sorgere dei figli”). Non è così facile essere figlie e figli: non basta essere discendenti per essere figli, e non basta essere figli per essere eredi.

E in terzo luogo, chiediamoci: che cos’è questa eredità? Di che cosa siamo eredi? Siamo eredi di tante cose, certo. Ma qual è l’eredità più bella e più preziosa? La cosa più importante è che la nostra eredità, in quanto figlie e figli di Dio, è Dio stesso. Come dice il Salmo 16: “Il Signore è la mia parte di eredità […] una bella eredità mi è toccata!”

Pastore Paolo Tognina