Ricordo di Bernardo Lardi a due anni dalla scomparsa

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Bernardo Lardi
(Le Prese, 6 settembre 1936-Coira, 19 marzo 2020)

Il prossimo 19 marzo saranno due anni che Bernardo Lardi non è più tra noi. La notizia mi arrivò inaspettata in una e-mail del fratello gemello Massimo. In una successiva telefonata, egli mi comunicò che Bernardo – durante il suo ultimo soggiorno a Poschiavo, dove stava seguendo i lavori di restauro di uno storico crotto da lui recentemente acquisito – era stato contagiato dal covid. Al rientro a Coira, era stato ricoverato in ospedale, ma la situazione apparve subito disperata al punto che si sarebbe potuto avere qualche speranza solo con la terapia intensiva che Bernardo rifiutò immediatamente «salutando i suoi, pronto – come si espresse sul letto di morte – a partire per il grande viaggio alla scoperta di nuovi mondi».

Si era all’inizio della pandemia che sarebbe velocemente dilagata in tutta Europa. Il virus prese tutti alla sprovvista, medici compresi, che si trovarono privi di efficaci protocolli di cura. In Italia era pressoché impossibile procurarsi mascherine, guanti di lattice e gel disinfettanti, ma andava peggio negli ospedali, dove il personale sanitario era impreparato ad affrontare una simile emergenza. In quanto responsabile del format editoriale di tre riviste scientifiche ricevevo continuamente notizie terrificanti di collaboratori contagiati o colpiti duramente negli affetti familiari, e il mio pensiero andava inevitabilmente a Bernardo e alla sua decisione degna degli antichi filosofi stoici.

Ci si accorge di essere di fronte a un vero gemello, quando li si scambia l’uno con l’altro, come mi è capitato più volte. Ero appena rientrato da Tirano, dove mi ero recato per acquistare i giornali e al mio «Ciao, Massimo», si girò Bernardo… Era visibilmente divertito e, alle mie scuse, rispose che ormai ci era abituato. Mi venne allora in mente l’apoteosi oraziana di Castore e Polluce («cum Castore Pollux / post ingentia facta deorum in templa recepti», epist. II 1, 5-6), e pensai a una dedica scherzosa, una specie di indovinello da utilizzare appena possibile: quis Castor, quis Pollux?

Nei giorni scorsi ho letteralmente divorato il ritratto di Bernardo, tracciato da Massimo per i «Quaderni grigionitaliani» (anno 90, 4/2021), uno scritto intitolato Bernardo Lardi: vita e arte, che ripercorre con empatia gli aspetti geniali di chi è sempre stato, sia pure da autodidatta, un artista (pittore, scultore, perfetto interprete di un’“arte povera” sempre legata al territorio poschiavino e retico), in grado però di alternare a questa mai dismessa attività più di un “secondo mestiere”: apprendista muratore, restauratore di edifici storici, commerciante, podestà di Poschiavo, deputato al Gran Consiglio e membro del Governo cantonale dei Grigioni, giurista insigne che ha saputo esercitare con successo tanto le magistrature pubbliche quanto l’avvocatura, fondando a Coira uno studio legale di tutto rispetto.

Nell’impossibilità di proporre un’analisi più ampia della produzione artistica di Bernardo, mi concentrerò sulle dodici illustrazioni che accompagnano l’incredibile favola a quattro mani Celestina e l’Uccellino della verità (Menghini, Poschiavo 2014; estr. da Qgi 83[2014], 4, pp. 9-57) e sui manufatti che ho avuto la possibilità di apprezzare ogni volta che sono stato ospite di Massimo nella sua attuale dimora al Cavresc. Appena entrati nel soggiorno, sulla parete di sinistra sono appesi due quadri: Contrabbando in Valposchiavo, l’epica immagine prescelta per la copertina dei Racconti del Cavrescio, pubblicati l’anno scorso da Massimo (Menghini, Poschiavo 2021), e la surreale rappresentazione, ambientata sotto il tuttora esistente tiglio secolare del Cavresc, di un sabba notturno di nove streghe, illuminato solo da una inquietante luce lunare; ma, se si gira a destra, sopra il caminetto si può ammirare un Altare domestico della Natività, un pregevole esempio di “arte povera” che induce chi lo guarda alla meditazione.

Chi analizza la copertina dei Racconti percepisce invece come il caratteristico “divisionismo” di Bernardo riesca a illustrare – con non comune realismo e una armonia di splendidi colori – in primo piano sul lato sinistro lo sguardo fiero (per non dire, feroce) di quattro contrabbandieri con la bricolla; in alto un’immagine della valle dalla parte del lago di Le Prese e, sullo sfondo, le Alpi Orobie; al centro la stilizzazione della parte periferica di Le Prese; subito sotto due piccoli riquadri con due pesci e quattro animali selvatici; in basso ancora due riquadri con un contrabbandiere alla guida di un mulo e due finanzieri armati di fucile, che trattengono a stento un cane da difesa.

Celestina e l’Uccellino della Verità è una piccola opera teatrale, che incrocia il ricordo dei giochi giovanili en plein air di Bernardo e Massimo, dei loro fratelli e di alcuni inseparabili amici con la preoccupante ricomparsa in valle dell’orso. Un capolavoro in cui testo e immagini sono un tutt’uno: senza di esse non si potrebbe comprendere la vera magia della fiaba, ma d’altra parte, senza il racconto, non esisterebbero queste meravigliose illustrazioni; in particolare, non potremmo apprezzare i due grandi quadri d’insieme collocati in posizione strategica in una situazione di “teatro nel teatro”: la scena che, in estrema stilizzazione, deriva dai dintorni di Le Prese; i personaggi che arrivano uno alla volta e sono i protagonisti di una rappresentazione che ha per spettatori anzitutto una miriade di animali selvatici e poi tutti noi, cioè i lettori che hanno la fortuna di incrociare questo testo meraviglioso. Ed è così giunto il momento in cui posso chiedere ai lettori: secondo voi, chi dei due gemelli è Castore, e chi Polluce? Non lo sapremo mai perché come i due Dioscuri, che in origine erano stati rispettivamente un domatore di cavalli e l’inventore dell’arte del pugilato, entrambi hanno esercitato anche altre arti e mestieri, diventando una specie di entità benefiche e salvatrici.

Caro Bernardo, poiché la pandemia mi ha impedito di partecipare alle tue esequie, durante le quali avrei chiesto di pronunciare alcune parole in tuo onore, accetta sia pure in ritardo questo mio ricordo e lasciami concludere – come avrei fatto due anni fa – citando il cap. 3 di Qohélet, un testo biblico generalmente “assente” nei funerali cattolici. Chi, incuriosito da quanto sto scrivendo, andasse a (ri)leggerlo, capirà il motivo per cui considero Bernardo un “ecclesiaste”, cioè un leader moderno. E alle quattordici antitesi, concedimi, carissimo amico mio, di aggiungere che per te non venga mai meno il tempo di dipingere…


Giovanni Menestrina