Di disobbedienza, di provocazioni e di asini

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Matteo 21,1-11
Sermone del 10 aprile 2022 Domenica delle Palme

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Gesù e i discepoli stavano avvicinandosi a Gerusalemme. Quando arrivarono al villaggio di Bètfage, vicino al monte degli Ulivi, Gesù mandò avanti due discepoli. Disse loro: ‘Andate nel villaggio che è qui di fronte a voi, e subito troverete un’asina e il suo puledro, legati. Slegateli e portateli a me. E se qualcuno vi domanda qualcosa, dite così: È il Signore che ne ha bisogno, ma poi li rimanda indietro subito’.

E così si realizzò quel che Dio aveva detto per mezzo del profeta: ‘Dite a Gerusalemme: guarda, il tuo re viene a te. Egli è umile, e viene seduto su un asino un asinello, puledro d’asina’.

I due discepoli partirono e fecero come Gesù aveva comandato. Portarono l’asina e il puledro, gli misero addosso i mantelli e Gesù vi montò sopra.

La folla era numerosissima. Alcuni stendevano sulla strada i loro mantelli, altri invece stendevano ramoscelli tagliati dagli alberi e facevano come un tappeto. La gente che camminava davanti a Gesù e quella che veniva dietro gridava: ‘Osanna! Gloria al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Gloria a Dio nell’alto dei cieli!’.

Quando Gesù entrò in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione. Dicevano: ‘Ma chi è costui?’. La folla rispondeva: ‘È il profeta! È Gesù, quello che viene da Nàzaret di Galilea’. (Matteo 21,1-11)

Nel marzo 1965, da Selma, in Alabama, partì una marcia di protesta diretta a Montgomery, la capitale dello stato. Scopo della manifestazione era quello di chiedere il diritto di voto per i neri americani. Dopo poche centinaia di metri, il corteo venne attaccato dalla polizia, comandata dallo sceriffo Jim Clark, sostenitore della segregazione razziale. Ci furono molti feriti e più tardi un pastore protestante bianco, James Reed, simpatizzante della causa afroamericana, fu ucciso a botte da estremisti bianchi. La manifestazione, guidata da Martin Luther King, fu organizzata appositamente a Selma: era noto l’atteggiamento dello sceriffo, si sapeva che avrebbe reagito con violenza obbedendo alle direttive emanate dal governatore dello stato, George Wallace. Le scene dei pestaggi da parte della polizia vennero diffuse immediatamente da tutte le televisioni statunitensi. L’opinione pubblica americana rimase sconvolta da quelle immagini, e pochi mesi dopo – sull’onda dell’indignazione popolare – il presidente Johnson firmò una legge che concedeva il diritto di voto agli afroamericani.

Il Mahatma Gandhi, in India, è stato il padre della liberazione del subcontinente dall’occupazione coloniale inglese. Per raggiungere il suo scopo, ricorse a diverse azioni simboliche e fortemente provocatorie ispirate ai principi della disobbedienza civile e della resistenza pacifica. Dato che gli inglesi detenevano il monopolio sul sale, Gandhi guidò una marcia verso il mare per andare a prendere una manciata di sale e rifiutare così di pagare le tasse agli inglesi. Per danneggiare l’importazione dei tessuti provenienti dalle manifatture britanniche, il Mahatma avviò una campagna di produzione del tradizionale panno di cotone filato dagli indiani. Iniziò a produrlo lui stesso all’arcolaio a ruota, che divenne un simbolo tanto importante da essere poi riprodotto sulla bandiera dell’India indipendente. Gandhi condusse digiuni a oltranza, guidò azioni di disobbedienza civile, attraversò l’India a piedi varie volte, passò in carcere oltre 2300 giorni della sua vita. Seguì sempre il principio “porgi l’altra guancia”, che aveva imparato dal “Discorso della montagna” di Gesù. Nell’agosto del 1947, l’India proclamò la sua indipendenza.

Il modello cui si ispirarono Martin Luther King e il Mahatma Gandhi era Gesù di Nazareth e le sue azioni di protesta nonviolenta, come quella compiuta poco prima della Pasqua, quando entrò a Gerusalemme in groppa a un asino. Scegliendo quella cavalcatura, ed entrando in quel modo in città, Gesù lanciò una triplice provocazione.

Da un lato mise in ridicolo il governatore romano, contrapponendo alla marziale parata con cui entrava a Gerusalemme – in sella a un nobile destriero, per dimostrare la sua potenza -, una “controparata” guidata da un sedicente re montato su un asino, animale umile per eccellenza e normale mezzo di locomozione della gente comune.

Dall’altro sfidò i capi religiosi scacciando i mercanti dal tempio, criticando la concezione della religione come un commercio con Dio, un Dio dal quale si ottiene qualche favore in cambio di denaro.

E dall’altro ancora dimostrò di essere un Messia diverso da quello che la folla aveva accolto con grida entusiastiche. Con la sua scelta, Gesù attualizzava infatti la profezia di Zaccaria secondo la quale l’atteso Messia sarebbe giunto a Gerusalemme cavalcando un asinello, in segno di non bellicosità (“L’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti”, Zaccaria 9,10). Ma la folla non capisce, attende un Messia potente, e grida “Osanna al figlio di Davide!” (Matteo 21,9). Ecco chi attendono: il figlio di Davide, ovvero un Messia che assomigli al re che con la violenza riuscì a riunire le tribù d’Israele e inaugurare il suo grande regno. Quel regno era costato un bagno di sangue, al punto che quando Davide volle costruire un Tempio a Dio, questi lo rifiutò: “Non costruirai il Tempio al mio nome, perché hai versato troppo sangue sulla terra davanti a me” (1 Cronache 22,8).

Gesù non è il figlio di Davide, bensì il figlio di Dio, la cui missione è salvare e non distruggere. Il Cristo non viene con la violenza, ma con l’amore; non sottomette, ma serve; non impone, ma offre; non uccide, ma dona la sua vita; non risuscita l’ormai defunto regno di Davide, ma inaugura il regno di Dio. E così, passate poche ore, quegli stessi che avevano accolto Gesù al grido di “Osanna”, chiederanno a Pilato, con tutto il furore di cui sono capaci: “Crocifiggilo!” (Marco 15,13).

Le credenti e i credenti sono spesso paragonati alle pecore. Si tratta di un’immagine che non mi piace affatto. La pecora è considerata un animale pauroso, vile, timoroso di contraddire i più forti, pronto a piegarsi alla volontà o alla prepotenza altrui. Se proprio vogliamo scegliere un animale che rappresenti i cristiani, allora prendiamo l’asino che al tempo di Gesù era l’umile animale da soma e da lavoro che serviva l’essere umano e ne portava i pesi.

L’asino, un animale che ha le zampe ben piantate per terra – come i cristiani che dovrebbero avere i piedi ben piantati nella realtà concreta del loro tempo – e nel contempo tiene le orecchie dritte per ascoltare ogni suono – come i cristiani che devono tenere le orecchie rivolte verso il cielo per non perdere nulla delle parole che il Signore ci rivolge.

L’asino, che ha un dorso vigoroso per sopportare le persone più insopportabili e non perde la pazienza; che sa camminare dritto disprezzando le carezze che illudono e ingannano e non si lascia piegare dalle bastonate.

L’asino, che ha portato in groppa Gesù, rifugiato in Egitto – così come i cristiani che si prendono a cuore il destino dei migranti – e che ha portato in groppa Gesù, re di pace, quando è entrato a Gerusalemme – così come i cristiani che non vogliono sapere altro che il messaggio di Gesù, il suo spirito di servizio, e la sua testarda visione di un mondo di pace.

Pastore Paolo Tognina