Che illusione lo spazio: tu prova a circoscriverlo con teli neri, a illuminarlo con segmenti luminosi, ad addensarlo con una nebbia leggera e di colpo annulli i contorni, ti senti dentro l’infinito.
Nessuno tra il pubblico allo spettacolo di danza Runtrough della compagnia CocoonDance sabato sera ha più pensato di trovarsi dentro una palestra.
Quello spazio vuoto da solo era già spettacolo, ti rapiva, così come quella percussione insistente, ma ancora lontana, che pareva sintonizzare il pubblico in attesa, quasi un tentativo di accordare il battito cardiaco di ogni spettatore.
Poi, come dal nulla, ecco arrivare in scena i ballerini e il tempo, scosso per un attimo dai loro passi leggeri colorati di blu, subito torna a fermarsi, ritmato solo dalle percussioni. E’ il tempo dell’attesa, di chi guarda, ma anche di chi è già dentro la danza. Un’attesa che presto si trasforma in ascolto dell’altro, di ogni minima contrazione muscolare dell’altro. E’ stato questo forse il filo rosso di tutto lo spettacolo: ognuno, pur ballando da solo era sempre in ascolto e in relazione con l’altro. Non credo ci sia un modo per raccontare questa danza, penso addirittura che ogni spettatore abbia fatto un suo viaggio, abbia visto delle cose, sentito emozioni senza forse trovare le parole per dirlo! Io ho visto corpi, ho visto anime, ho visto cavalli, falene e cavallette, marionette dai fili cedevoli, anime sommerse, forza del gruppo, fragilità, rinforzo, poesia, ricerca, mondi nuovi, stupore. Tutto sempre in divenire, ogni corpo pronto a trasformarsi, ma sempre fedele a se stesso. Corpi che non hanno mai smesso di pulsare, per tutto lo spettacolo. Si allontanavano, si cercavano, si riunivano, si schivavano, si corteggiavano in una pulsazione continua, fino alla fine dove, ho pensato io, finalmente si riconoscevano.
L’applauso è arrivato dal silenzio, quando le percussioni le ha inghiottite il buio, e il pubblico è tornato dal suo altrove. Un applauso meritatissimo, per una performance davvero speciale e sorprendente. Bravissimi!
Ancora stordita da tante emozioni ho chiesto alla coreografa Rafaele Giovanola di dirmi tre parole che riassumessero lo spettacolo. Non ci ha dovuto pensare molto: energia, pulsazione e comunicazione. Ecco , mi sono detta, ho già il titolo! Poi, pensando di rischiare un azzardo, le ho chiesto quanto della danza proposta fosse improvvisato e quanto orchestrato e la risposta mi ha stupito : è tutto improvvisato! Vale a dire ci sono delle regole e dei paletti, ma poi tutto è improvvisato, anche se ora lo spettacolo comincia a trovare una sua forma. Come una partita di calcio – aggiunge -le regole ci sono, ma la partita si inventa ogni volta ed è sempre diversa.
Sempre diverso, sempre in divenire: non per caso dunque lo spettacolo si intitola Runthrough che significa passaggio. Un passaggio che ti aiuta ad attraversare spazi inconsueti, per arrivare a sponde nuove.