Che cosa è pregare?

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1 Timoteo 2
Sermone del 22 maggio 2022

I culti vengono registrati e si possono riascoltare al seguente indirizzo:

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Ti esorto, prima di ogni cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta” (1 Timoteo 2)

“Ti esorto, prima di ogni altra cosa, che si facciano preghiere”. Come dobbiamo intendere questa espressione? In senso temporale, cioè nel senso di un prima e un dopo? Se così fosse, non coglieremmo la sfida di questa esortazione. Non viene detto: prima la preghiera, dopo il lavoro, prima i bisogni spirituali, poi i bisogni materiali. Non siamo di fronte a un invito a distinguere nella nostra vita due sfere che coesistono l’una accanto all’altra, senza influenzarsi, né incontrarsi.

Qui si dice che per il credente non esiste alcuna azione e decisione che non comprenda la preghiera. “Prima di ogni altra cosa” non è una questione di tempo, ma di priorità, equivale a dire: quello che conta di più, che non può mancare nella vita, è la preghiera. Sarebbe inutile cominciare la giornata con la preghiera e poi dimenticare Dio per tutto il corso della giornata. O la preghiera è presente durante tutta la giornata – plasmando ogni nostro pensiero e attività -, oppure è come se non ci fosse.

Ma che cosa è pregare? In che cosa consiste la preghiera? L’autore della lettera dice: “nel fare suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti”. Usa quattro parole diverse per indicare la stessa realtà, lo stesso concetto. Perché? Perché la preghiera comprende diversi aspetti – ed è bene ricordarlo perché spesso ce ne dimentichiamo. Chi ritiene di dover chiedere qualcosa a Dio, dimentica a volte di ringraziarlo. Chi pronuncia preghiere di ringraziamento, dimentica quanto ci sia da chiedere. Non esiste mai un solo motivo per rivolgersi a Dio. Se dovessimo pregare ringraziando il Signore soltanto per i suoi doni, la nostra preghiera sarebbe bella, ma monca, se non chiedessimo che anche altri possano ricevere gli stessi doni.

“Suppliche, intercessioni e ringraziamenti”: che cosa vuol dire che la preghiera deve volgersi in direzioni diverse? Significa che la percezione della realtà che ci circonda non può essere in bianco e nero. Una preghiera che si volge in più direzioni richiede delle persone informate, che non ragionano per schemi, ma sanno analizzare la realtà, distinguere aspetti diversi. Il presupposto della preghiera è allora la vigilanza, la lucidità di giudizio. Può sembrare un’affermazione strana: di solito si ritiene che la preghiera sia un atto spontaneo. Invece il nostro testo ci insegna che la preghiera richiede attenzione, concentrazione, conoscenza. Dio ci invita a occuparci con cognizione di causa delle cose per le quali preghiamo.

C’è un ulteriore indicazione nel nostro testo. È detto: “Pregate per tutti, per i re, per coloro che sono in autorità”. Non solo la nostra preghiera non può essere selettiva – nel senso che deve includere accanto alla lode anche il ringraziamento, la richiesta e l’intercessione – ma deve estendersi al di là di noi, della nostra sfera di bisogni, fino a coinvolgere tutti.

Pregare per tutti? Noi preghiamo a mala pena per noi stessi, o per chi amiamo, o per chi ci è simpatico. Com’è possibile pregare per tutti, anche per chi ci è antipatico, per chi ci ha fatto del male? Eppure è questo ciò che leggiamo nel testo: una preghiera che si limitasse a un ambito personale, alle persone care, sarebbe incompleta.

Il testo aggiunge: “Pregate per i re, per coloro che sono in autorità”. Che cosa significa? Non che ci sia un modo diverso di pregare per essi. Ma che esiste una dimensione pubblica della preghiera che non può e non deve essere dimenticata. I credenti, la chiesa, non vivono isolati dal mondo, ma sono nel mondo, non per dominare, ma per agire come un fermento innovatore. La vita pubblica è il campo in cui deve esercitarsi la fede cristiana.

Nella lettera ai Romani, l’apostolo Paolo afferma che le autorità sono da riconoscere come volute da Dio per tutelare il bene comune. Pregando “per i re e l’autorità” i cristiani adempiono perciò con lealtà i loro doveri verso l’autorità legittimamente costituita. Ma lo fanno con animo libero, senza rendersene schiavi, sapendo di essere cittadini di un regno che non è di questo mondo. Chiediamoci: abbiamo pregato a sufficienza per le autorità costituite, perché svolgano il compito per il quale sono state costituite?

Il testo termina affermando che lo scopo della preghiera è che “noi possiamo condurre una vita tranquilla e quieta”. A prima vista viene da chiedersi se sia proprio questo l’obiettivo della preghiera. Possibile che il suo esito si riduca a un ideale di “vita tranquilla”?

Ma a ben guardare non si tratta di questo. Si tratta piuttosto di un forte richiamo alla dimensione pratica della preghiera, al fatto che essa non si riduce a un dialogo solitario dell’anima con il suo Dio, dimenticando i più elementari problemi e le più indispensabili necessità della vita. Il bisogno del pane quotidiano e della casa, l’aspirazione a un livello di vita più elevato, che elimini la miseria, la malattia, l’ignoranza: tutto questo non merita solo l’attenzione dei sociologi, dei politici, degli economisti, ma anche della preghiera. Non c’è nulla di improprio, anzi è naturale inserire nella preghiera questi aspetti.

La preghiera autentica consiste proprio in una relazione triangolare uomo-Dio-uomo, nella quale l’altro, il prossimo, ha una parte necessaria, perché – come dice la prima lettera di Giovanni (4,20) – non si può amare Dio, che non si è veduto, se non si ama il fratello, che si è veduto.

Pastore Paolo Tognina