Pupoc da giügn

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Materiali lignei di recupero, assemblati e poi destinati all’abbruciamento. No, non siamo a Poschiavo, siamo a Venezia, ai Giardini, all’interno del Padiglione Svizzera, opera del bregagliotto Bruno Giacometti. La Biennale d’Arte offre quest’anno opere e spunti quasi tutti al femminile.

La commissione artistica di Pro Helvetia (Madeleine Schuppli, Sandi Paucic, Rachele Giudici Legittimo), ha scelto i curatori del Padiglione (Alexandre Babel e Francesco Stocchi), affidandosi poi a Latifa Echakhch (marocchina).
Dunque sculture assolutamente effimere, ispirate alla statuaria popolare e che finiranno come si vede nelle foto (da notare l’estintore: non si sa mai). Ma questa è solo una delle letture possibili.

All’Arsenale, altra sede della Biennale, tra le mille proposte, quasi tutte contemporanee, abbiamo scelto un viaggio a ritroso nel tempo che tocca anche Tirano.
Regina Cassolo Bracchi – più semplicemente nota come Regina – era moglie del pittore tiranese Luigi Bracchi (paesaggista e ritrattista).
Regina realizzava oggetti figurativi in metallo (ma non solo) che la renderanno l’unica scultrice donna del Futurismo all’inizio degli anni Trenta. Nella mostra veneziana troviamo snelle silhouette a tutto tondo e dei pannelli simili ad altorilievi, generati da sovrapposizione e intersezione di sottili lamine in alluminio. A ben vedere lei s’inserisce nel recupero della produzione culturale delle donne: carta e spilli come se dovesse cucire le sue opere, gesso, alluminio, filo di ferro, latta, stagno, carta vetrata e poi anche plexiglas colorato. Lei, diversa e coraggiosa: quando per la Biennale del 1942 le viene chiesto di esporre lavori a tema fascista, rifiuta.

Ma torniamo al “Pupoc” iniziale, solare simbologia del fuoco e della rinascita primaverile. A Campocologno, come a Tirano, con la “Vegia” si varia di poco. Altrove il rogo può avere i significati più diversi. Eccone uno. Nelle Marche costiere “el fogarò” viene acceso paese per paese, contrada per contrada in occasione della “Venuta”. Secondo la tradizione, la “Santa Casa” venne traslata in volo dagli angeli. Dalla Palestina arrivò sulla costa adriatica croata, ma vi rimase poco. Di lì attraversò l’Adriatico verso occidente. Dopo diversi passaggi si fermò definitivamente nella zona di Recanati, in una frazione, Loreto, che assurse a fama mondiale.

Per aiutare gli angeli nell’ultima tratta della “Venuta” ecco spuntare per ogni dove, a terra, fuochi: guida sicura. Noi ragazzi raccoglievamo arbusti lungo i fossi e lungo la ferrovia (causando danni limitati) e la notte tra il 9 e il 10 dicembre si abbruciava tutto, in un clima più festaiolo che religioso. Così com’è grande festa a Poschiavo e Campocologno.