Ancora sulla tempesta sedata

0
152

Marco 4,35-41
Sermone del 10 luglio 2022

Gesù disse loro: «Passiamo all’altra riva». (…) Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca (…) Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia (…). (Marco 4,35-41)

Ritorniamo sull’episodio, che tutti conoscono, della tempesta sul Mar di Galilea sedata da Gesù. E approfondiamo alcuni aspetti di questo racconto altamente simbolico.

Sorpresi dalla tempesta, i discepoli vivono la paura e l’angoscia di essere sommersi. In altre parole, potremmo dire la paura e l’angoscia della morte, del nonsenso, dell’alienazione sociale, dello scivolare ai margini, dell’essere inghiottiti in un gorgo.

Per Gesù la fede è il contrario della paura: i discepoli hanno paura, conseguenza di un senso di insicurezza e di impotenza. La paura è il contrario della fede che qui non è un atteggiamento religioso, bensì un sentirsi al sicuro. Non si tratta della fede imparata al catechismo, riassunta nelle formule di una confessione, ma della fede intesa come fiducia, serenità, assenza di angoscia e di preoccupazione.

A volte è proprio la paura a suscitare l’aggressione di cui siamo oggetto – è la nostra paura a spingere il cane a mostrarsi minaccioso – e il mare cesserebbe di apparire minaccioso se i discepoli non lo temessero. La fede è un atteggiamento che permette di “camminare sulle acque”, cioè di dominare le paure che esse evocano e suscitano.

La psicanalisi insegna che di fronte a un problema ci possono essere tre atteggiamenti: c’è chi si pone sul piano dei principi, della morale, operando come un genitore; c’è invece chi affronta il problema con soluzioni pratiche, pragmatiche, assumendo un atteggiamento adulto; infine c’è chi si lamenta, o si ribella, lanciando accuse e critiche, in un atteggiamento infantile.

A questo terzo tipo appartiene la reazione dei discepoli che cercano di far ricadere su Gesù la responsabilità di quello che succede: “Maestro, non t’importa che noi moriamo?”. In altre parole, gli rimproverano di non avere paura e di non essere solidale con il gruppo.

Quante volte, nelle situazioni di crisi, cerchiamo un capro espiatorio, da accusare e da eliminare. È successo ripetutamente nel corso della storia – con le streghe, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari e altri gruppi – e si ripete ancora oggi. La paura rende violenti, come mostra ad esempio – nella Bibbia – il racconto di Giona, in cui i marinai indicano nel profeta il capro espiatorio, il colpevole della tempesta che mette a repentaglio la vita di tutti, e lo gettano in mare nella speranza di placare la bufera.

Si può leggere in vari modi il passaggio di Gesù dal sonno alla parola: come annuncio del suo passaggio dalla morte alla resurrezione, oppure come espressione della sua fiducia nella sovranità di Dio (il sonno) e della vocazione a essere adulto.

La parola di Gesù è un altro modo di esprimere la pace e la fiducia che già il suo dormire manifestava: con la sua serenità, derivante dalla fiducia, Gesù riduce al silenzio gli elementi scatenati. Gesù porta a compimento la vocazione di Adamo, descritta nelle prime pagine della Bibbia, chiamato a dominare il mondo creato e a renderselo soggetto.

Risuscitare vuol dire qui convertirsi a un comportamento adulto, al coraggio e alla capacità di risolvere i problemi. Una fede adulta corrisponde al paradosso di dominare il mondo sapendo che il mondo è nelle mani di Dio.

Come accade in alcuni racconti di guarigione, anche nell’episodio della tempesta sedata Gesù minaccia il male e lo fa tacere. Subito dopo rimprovera ai discepoli di non averlo fatto essi stessi, di non avere cioè agito secondo la loro vocazione a dominare il mondo e ad allontanare il male.

Gesù intende la sua missione come un appello agli uomini e alle donne perché esercitino in prima persona la vocazione a dominare le forze del male, a smascherare il meccanismo della violenza contro il capro espiatorio e a non replicarlo, ad assumere un atteggiamento adulto, autonomo e responsabile contro il male, a imparare a resistergli e a scacciarlo.

Pastore Paolo Tognina