Mescolata ad un pubblico davvero eterogeneo (tutti in piedi in attesa che le porte del Punto Rosso si aprissero) ho pensato che sarebbe stato forse più facile scrivere di uno spettacolo alla Prima! Invece, la rappresentazione che sto per vedere è la settima replica ed è già stato detto e scritto tanto sulla Fenice.Poschiavo. Anche i commenti di chi già vi ha assistito, a dire il vero quasi tutti entusiasti, si sono diffusi in paese come un tam-tam.
Il mio esercizio prima di prendere posto, è stato dunque quello di “resettare” la mente, liberarmi da ogni impressione ricevuta, e semplicemente accogliere come una pagina bianca lo spettacolo di Oliver Kühn.
Ci ha pensato la musica a trasportarmi fin da subito: un canto, ricamato attorno ad un’unica nota creata da una carezza su un bicchiere di cristallo. Poi, discreto prima e più insistente in seguito, il rumore reale della pioggia, con lampi veri e tuoni che si sono mescolati a quelli della storia, creando davvero un’emozione di tempo sospeso.
Quasi cinque attori principali a ricordare l’evento dell’alluvione, a scandire il tempo di un’inevitabile destino. Il vuoto causato dall’assenza di uno di loro per malattia (e posso immaginare lo stress che questo fatto ha provocato) è stato colmato con eleganza e destrezza dai compagni, che a turno, portando in scena semplicemente il costume dell’assente, hanno dato vita al personaggio, alleggerendolo come fosse un’anima. Davvero tutti bravi.
Istrionico Oliver Kühn attore, che ha saputo mettere un sacco di sfumature di colore al suo personaggio, riuscendo anche a tenere un occhio esterno razionale alla regia: ma complimenti!
Poi le comparse a far da coro: bella la loro energia ricca di complicità, tutti espressivi, coordinati e coinvolgenti. Geniale lo sfruttamento dello spazio a disposizione, con una coreografia minimalista, ma evocativa, capace da sola di dare addirittura ritmo allo spettacolo.
E infine la musica! Ma quanto era bella la musica! Discreta, leggera, poetica, respirata, sussurrata. Un lui e una lei, chitarra e fisarmonica, voce alternata ad altri strumenti di cui neanche conosco il nome. Un dettaglio ha reso la fisarmonica una presenza quasi spirituale: la donna suonava a piedi nudi, camminava con una leggerezza magnetica aprendo e chiudendo il mantice dello strumento come un respiro tranquillo.
Uno spettacolo corale notevole, evocativo, con tratti surreali (come l’entrata della mucca o dell’astronave azionata da pulegge preesistenti) davvero suggestivi e sorprendenti. Forse, se posso permettermi una critica, complessivamente un po’ lungo e un po’ troppo carica la scena della caccia alle streghe, ma una scelta felice di immersione linguistica, che ha reso facile la comprensione sia della lingua italiana che tedesca.
Meritato, lungo e convinto l’applauso finale.
Ognuno, tra il pubblico si è sicuramente portato a casa una propria emozione e un proprio messaggio. Di certo riproporre una simile narrazione 35 anni dopo l’evento, regala lo sguardo del tempo. È lui, il tempo, a creare la giusta distanza per insegnare qualcosa e farci davvero capire che ogni cambiamento anche drammatico, può trasformarsi in opportunità e nuovo inizio.
Grazie a chi ha voluto fermarsi a riflettere e raccontare questo pezzo di storia. Grazie per avercelo proposto così.
Serena Bonetti