La via del servizio

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Luca 22,27
Sermone del 28 agosto 2022

I culti vengono registrati e si possono riascoltare al seguente indirizzo:

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“Il maggiore tra voi sia come il minore, e chi governa, come colui che serve” (Luca 22,27). Queste parole sono pronunciate da Gesù al termine dell’ultima cena con i suoi discepoli e prima di recarsi a Gerusalemme, dove morirà sulla croce. Esse costituiscono, potremmo dire, il testamento di Gesù.

A quelle parole possiamo affiancare le affermazioni di un grande pensatore dell’antichità: “Come può essere felice una persona che deve servire gli altri?”, si chiedeva il filosofo greco Platone. E continuava: “Chi serve è sottomesso, non è libero; solo chi è libero può essere veramente felice”.

Non le parole di Gesù, ma le parole di Platone sembrano essersi affermate nel corso della storia dell’umanità. Da sempre, in ogni cultura, gli esseri umani hanno preferito come ideale di vita non il servizio, ma il dominio. Anche nella nostra società occidentale, pur plasmata dalla cultura ebraico-cristiana, predomina l’idea che la felicità si ottiene attraverso il dominio, la supremazia, la superiorità. Senza ricorrere alla sete del potere, al desiderio di comandare stampato sulle facce di tanti nostri contemporanei, pensiamo al più modesto diritto alla felicità personale, alla realizzazione di se stessi, così fortemente presente nel nostro tempo.

Come si conciliano queste idee con il modello evangelico del servizio, con cui Gesù lega la nostra vita al destino e ai bisogni del nostro prossimo?

Nella Bibbia, Dio ci viene presentato non solo come colui che ama essere in compagnia delle sue creature. Ci viene detto anche che colui che è al di sopra di ogni legge e al quale nessuno può dare ordini, ha imposto a se stesso di assumere la forma umana del servitore.

Nel Nuovo Testamento la parola “servizio” è chiamata “diaconia”, il “servitore” è chiamato “diacono”. E proprio questo termine di “diacono” è uno dei titoli di Cristo. Forse l’unico che egli stesso si sia dato. Dice Gesù nel testo di Luca: “Io sono in mezzo a voi come il diacono”. Nella lettera dell’apostolo Paolo ai Filippesi, si dice di Gesù: “Non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto, diventò come un servo”. Le lettere del Nuovo Testamento sono piene di esortazioni a “servire il Signore”, a “servire gli uni gli altri” (Galati 5,13).

Dio è fedele a questo suo modo di essere, la nostra freddezza, la nostra ingratitudine non gli fanno cambiare idea. Se dunque facciamo nostra l’esortazione di Gesù, secondo il quale “il maggiore tra voi sia come il minore, e chi governa, come colui che serve”, allora assumiamo lo stesso atteggiamento di Dio.

A questo punto è da ricordare una parola di Gesù riportata dall’evangelista Giovanni: “Se uno mi serve, mi segua, e là dove sono io, sarà anche il mio servitore, e se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Giovanni 12,26). Come dire: solo il diacono, solo chi imbocca la via del servizio, segue Gesù, cioè solo il diacono è sulle tracce e nelle orme di Gesù, solo il diacono è cristiano. La comunità di Gesù è una comunità di diaconi. Cristianesimo significa diaconia, significa servizio. Essere cristiani, essere cristiane, significa essere diaconi, essere servitori. Cristianesimo significa diaconia, significa servizio.

Certo, scegliere la via del servizio significa aderire a una causa combattuta e contestata, perché nella società in cui viviamo si contrappongono due concezioni della vita che sono ben riassunte nelle parole di Gesù e di Platone che abbiamo citato. Scegliere la via del servizio significa respingere la tentazione di vivere soltanto per se stessi, per procurare la nostra felicità, dimenticando il prossimo.

Se la parola di Gesù sul servizio è apparentemente ignorata da molti, ciò non significa che essa sia meno vera o la sua applicazione meno attuale, al contrario. Proviamo a immaginare una società in cui regnasse questo grande principio dell’evangelo, dove Dio fosse riconosciuto come il Signore e gli esseri umani si amassero e servissero gli uni gli altri. Proviamo a immaginare una società in cui nessuno si sente escluso: dove l’isolato trovi una persona che l’accoglie, l’afflitto sia consolato, gli ammalati si sentano circondati di cure, i dubbiosi fortificati, chi è nel bisogno sia aiutato e soccorso, i nemici siano riconciliati, i peccatori e le peccatrici perdonati, dove si preghi gli uni per gli altri e l’amore di Cristo non sia predicato a parole soltanto, ma vissuto ed esteso a tutti, dentro e fuori la chiesa, in atti concreti di solidarietà, comprensione, perdono.

Proviamo a immaginare tutto questo, e altro ancora. Non vale la pena affrontare disagi e difficoltà per essere fedele a questa scelta?

Se il conforto della speranza e dell’amore non si devono estinguere completamente nella nostra generazione, è necessario che vi siano delle donne e degli uomini che continuano a professare con decisione generosa e con dedizione la fede in colui che ha voluto essere il diacono, il servitore dell’umanità.

E se il compito dovesse apparire troppo arduo, ricordiamoci che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza. E come diceva l’apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi dà forza” (Filippesi 4,13).

Pastore Paolo Tognina