Il miracolo della fiducia

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Luca 5, 1-11
Sermone del 12 settembre 2022

Il racconto della chiamata dei primi discepoli è conosciuto. Sulle rive del Lago di Genesaret (è il nome che l’evangelista Luca usa per indicare il Mare di Galilea), Gesù esorta Pietro e altri pescatori, stanchi dopo una nottata in cui non hanno pescato nulla, a gettare nuovamente le reti. Quegli uomini esitano, poi però gli danno retta. E in effetti, contro ogni aspettativa, pescano una quantità notevole di pesce. Al termine, Gesù dice loro di seguirlo, per diventare “pescatori di uomini”. E quelli lo seguono.

Questo brano evangelico non va letto in modo ingenuo, come se si trattasse del resoconto di un fatto realmente accaduto. Certo, è bello pensare che quei poveri pescatori, delusi a causa di una notte di lavoro infruttuosa, dopo l’incontro con Gesù siano stati ripagati con una “pesca miracolosa”. Ma qui non si tratta di cronaca, bensì di un racconto costruito dall’evangelista a partire da situazioni e per delle ragioni ben precise. Scavare a fondo per capire che cosa abbia spinto Luca a raccontare questa storia, non toglie nulla al fascino e al senso di questa narrazione, presentata dall’evangelista come una parabola.

Luca inserisce nel suo Vangelo il racconto della chiamata dei primi discepoli quando ormai ha sperimentato per molti anni, con la sua comunità, ciò che era successo a coloro che avevano seguito Gesù: si erano lanciati con entusiasmo sulla strada del Maestro di Nazaret, avevano cercato di seguirne con passione le orme, non si erano tirati indietro rispetto al compito che egli aveva loro affidato di diventare “pescatori di uomini”. Ma Luca, che scrive verso la fine del primo secolo, almeno cinquant’anni dopo la morte di Gesù, descrive un percorso e un’esperienza spesso anche molto dolorosi.

Quante volte, in quel mezzo secolo trascorso dalla morte del Maestro, la comunità e i singoli credenti hanno “faticato tutta la notte” senza pescare nemmeno un pesce, senza avere ottenuto nessun risultato? Il loro messaggio e la loro testimonianza sono sembrati sterili, come se cadessero sulla sabbia. Più di una volta, sfiniti e scoraggiati, hanno pensato di mollare tutto, di abbandonare una strada senza prospettive, come si lascia un tratto di mare in cui non si trovi neanche un pesce.

L’opposizione rende difficile la strada della comunità, ma pesa soprattutto l’indifferenza dell’ambiente circostante e il raffreddamento di molte persone che sulle prime erano sembrate infaticabili, perseveranti e coraggiose, ma poi hanno perduto il loro slancio.

Non erano mancati momenti di gioia, di autentica comunione, di crescita, ma, tirando le somme, i risultati sembravano scarsi o, almeno, non erano mai evidenti, mai definitivi.

In questo contesto di speranza che viene meno e di crescente delusione, Luca riprende il modello di una storia edificante – presente in diverse varianti presso tanti popoli antichi e in tante tradizioni religiose – che narra di un raccolto straordinario, di un risultato strabiliante, appunto di una “pesca miracolosa”. E lo fa per aiutare la sua comunità a proseguire con fiducia il cammino sulla strada indicata da Gesù.

Il messaggio è chiaro: anche se ci è successo di faticare tutta la notte e di non prendere nulla , anche se ci è capitato di non raccogliere i frutti desiderati, bisogna continuare a buttare le reti “sulla parola di Gesù”. Solo questo totale affidarsi a Dio sulla Parola di Gesù riapre i cuori e permette di riprendere il cammino.

È facile ritrovare in questa ricostruzione una stretta parentela con tante situazioni che viviamo anche noi, oggi. Quante iniziative di solidarietà finiscono per risultare “notti in cui ci si affatica e non si vedono i risultati”? E allora, come per la comunità di Luca, la tentazione di rinunciare all’impegno, di gettare la spugna, di ritirarci nel privato e badare solo ai fatti nostri, si fa sentire ripetutamente.

E noi? Abbiamo mai fatto pesche miracolose, abbiamo mai ottenuto risultati eclatanti? Forse no. Anzi, guardiamo con una certa diffidenza certi successi in campo religioso che non ci sembrano nascondere altro che manie di grandezza.

Forse dopotutto non ci è nemmeno chiesto di ottenere una pesca grossa, bensì di continuare, semplicemente, con ingenua caparbietà, senza mai smettere, a fidarci di Gesù. La chiave del racconto è proprio questa: la fiducia, in quel Signore che ci chiama e ci permette di vivere liberi dall’ossessione dei risultati.

È la fiducia l’elemento centrale di questo racconto: la fiducia che Gesù chiede a quei pescatori – perché senza di loro non potrebbe fare nulla nemmeno lui -, e la fiducia che offre a quei pescatori – perché senza fiducia quegli uomini non potrebbero superare la delusione e la paralisi derivanti dalla mancanza di risultati. Allora, come oggi, la fiducia di cui parla il racconto della pesca miracolosa rimane il carburante indispensabile per superare la delusione, e guardare avanti.

Pastore Paolo Tognina