Oggi, 15 settembre, è la giornata mondiale per la democrazia. Si tratta di un tema particolarmente sentito nel mondo, specialmente là dove sistemi democratici giovani e poco solidi sono stati messi a dura prova dalla pandemia e dalla sua gestione, ma anche dalla crisi energetica, economica e inflativa legata a doppio filo alla guerra in Ucraina. Si tratta anche di un sistema negato nei numerosi governi autoritari (de iure o de facto) che ancora esistono al mondo.
Si sbaglierebbe, però, se si pensasse che la democrazia sia in perfetta salute anche nei paesi in cui ha una tradizione consolidata ed in cui è divenuta una caratteristica che appartiene al DNA stesso dell’identità nazionale. La Svizzera costituisce una delle nazioni al mondo considerate (a ragione) una delle culle della democrazia stessa. Un paese nel quale la sovranità popolare non si esprime solamente nell’elezione dei propri rappresentanti negli organismi locali, regionali, cantonali e federali, ma nel quale il popolo è anche interpellato con frequenti votazioni su ogni questione importante, in un (invidiato) sistema di democrazia diretta unico al mondo.
Eppure, anche in Svizzera, la democrazia mostra talvolta delle crepe. Ciò si verifica non solo nelle impasse che a volte si riscontrano a livello federale tra volontà del Popolo e le posizioni dell’Assemblea federale, ma anche nei territori più periferici, come per esempio la stessa Valposchiavo.
Non c’è dubbio che il pluralismo sia garantito e il grande numero di candidati al Gran Consiglio Retico alle ultime votazioni ha fatto pensare che anche la volontà di partecipazione dei cittadini alla politica, non solo attraverso gli strumenti della democrazia diretta, sia alta. Ci sono però alcuni piccoli segni, alcuni “scricchiolii” per così dire. Il primo, il più evidente, è il già molto dibattuto (anche su queste pagine) tema della mancata candidatura di un quinto nome al Consiglio comunale di Poschiavo. Si tratta certo di una situazione dovuta in parte a una congiuntura, basata su eventi concomitanti, forse in parte inattesi ma non sorprendenti: si ha la sensazione che la carica pubblica, con i suoi oneri più che onori, non venga ormai più percepita come particolarmente attrattiva, specialmente dalle giovani generazioni. Il secondo segno è la mancanza di una candidatura alternativa alla carica di podestà, proprio quando, recentemente (poco prima delle votazioni cantonali), alcune forze politiche avevano polemizzato in maniera accesa contro il podestà uscente (e ricandidato) Giovanni Jochum.
Vi è, infine, una perdurante e irrisolta “questione femminile” (nel momento in cui, va detto, si registra l’elezione di una donna valposchiavina in Gran Consiglio), che non è un mero problema numerico ma di apporto alla democrazia e all’amministrazione della cosa pubblica. Tra i quattro candidati al Consiglio comunale di Poschiavo, infatti, non vi è nessuna donna. Ma non è solo e soltanto questo… A quando un candidato donna alla carica di podestà di Poschiavo? Evidentemente la mera possibilità teorica di candidarsi non è sufficiente, là dove l’assunzione di cariche pubbliche rende difficile la gestione professionale e familiare.
In questa giornata, dunque, varrebbe la pena – mentre si guarda lontano, ai luoghi dove le istituzioni sono minacciate o dove le democrazie non esistono – di guardare anche vicino, apprezzando le nostre conquiste democratiche, ma anche riconoscendo al contempo le crepe nella partecipazione alle istituzioni democratiche, ponendovi rimedio prima che esse diventino più gravi e irreparabili.