Diventare come bambini

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Marco 10,13-16 e Matteo 18,1-3
Sermone del 9 ottobre 2022

Gli presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”. E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro. (Marco 10,13-16)

I discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: “Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?” Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. (Matteo 18,1-3)

Bisogna innanzitutto sgomberare il terreno da possibili equivoci derivanti da una lettura “romantica” delle parole di Gesù sui bambini, una lettura che individua nella categoria dei “bambini” o dell’ “essere bambino” uno stadio ideale dell’umanità, un’età d’oro dell’esistenza umana: età dell’innocenza, della purezza, che sarebbe da contrapporre alla malvagità della condizione adulta, corrotta, cinica, macchiata dal compromesso.

In virtù di quella lettura – espressione di una sorta di nostalgia per una purezza perduta – letterati e ricercatori, soprattutto nell’Ottocento, hanno indicato la via di una sorta di ritorno alla condizione infantile. Ma questo è accaduto in una società che permetteva il lavoro minorile, una società che non garantiva ai bambini praticamente nessuno dei diritti fondamentali che oggi buona parte degli Stati riconoscono loro, una società in cui vigevano metodi educativi molto rigidi, oggi inconcepibile e inaccettabile, una società che idealizzava la natura – ritenendola non corrotta, innocente – e trovava però in essa i presupposti della superiorità di certe specie e razze sulle altre.

Alla luce di queste considerazioni, è evidente che quello sul diventare come i bambini può essere un discorso di comodo, ipocrita, cinico, perché usato dai più forti per giustificare il proprio primato, la propria violenza e oppressione sui più deboli. E diventa un discorso che serve a giustificare un certo statu quo. Se il discorso di Gesù intendesse questo, se Gesù parlasse di questa regressione, credo che saremmo tutti d’accordo nel rifiutarlo.

I discepoli di Gesù sapevano, come sappiamo anche noi oggi, che i bambini non parlano perché non hanno nulla da dire. I bambini non parlano perché non hanno spessore psicologico da esprimere, non hanno discorso logico da svolgere, non hanno dialettica, non crisi e non problemi: tutto è ancora avvolto nel torpore, come un fuoco che non si è ancora acceso.

Ora, immaginiamo una folla di mamme che portano dei bambini piccoli a Gesù, il quale li accoglie, ma non solo, dice che bisogna diventare come loro. Sentendo queste parole, i discepoli non capiscono, anzi, rifiutano di accettare quel che Gesù dice. Intende forse dire – si chiedono – che bisogna rinunciare alla nostra maturità? Alla vita che abbiamo vissuto dall’infanzia fino a oggi? Forse in questa vita ci sono state vanità e orgoglio, c’è stato egoismo, ma in questa nostra esistenza ci sono anche state esperienze positive, c’è stato anche il nostro incontro con te, Gesù, c’è stata la tua chiamata che noi abbiamo accolto… Dobbiamo rinunciare a tutto questo – si chiedono ancora i discepoli -, per ritornare bambini, neonati, senza storia, senza pensiero né discorso né voce? Nella loro incomprensione i discepoli capiscono questo: che non può essere così, che Gesù vuole dire un’altra cosa.

E infatti Gesù non dice che bisogna tornare a essere bambini. Dice invece che bisogna diventare come bambini. Diventare, come una cosa nuova che non è più l’infanzia, anche se le somiglia, e che l’infanzia può significare a livello di simbolo.

È quello che Gesù spiega in un’altra occasione a un uomo di nome Nicodemo, il quale si era avvicinato a lui per sapere quale fosse la via da seguire (Giovanni 3,1-11). E Gesù gli aveva detto: “Bisogna che tu nasca di nuovo”. Nicodemo allora aveva replicato: “Com’è possibile che io, un uomo vecchio, nasca di nuovo? non è possibile per me entrare nuovamente nell’utero di mia madre”. E Gesù gli aveva spiegato che le sue parole non sono da intendere nel senso di un ritorno nell’utero di nostra madre – quindi a un ritorno all’età dell’incoscienza – ma nel senso dell’acquisizione di una piena autonomia, di una piena maturità, di una coscienza matura.

Questo significa diventare bambini: acquistare una infanzia nuova e diversa, nutrita da tutti i frutti della maturità. Non già tornare indietro, ma tornare avanti. Un uomo non può tornare nell’utero di sua madre, e non deve neanche volerlo. Chi ha passato una crisi, ne uscirà rafforzato, chi ha passato la pubertà non sarà più bambino. Indietro, anche volendo, non si torna. Ma guai volerlo: significherebbe immergersi nel torpore delle origini rifiutando la vita.

Accettare la condizione della vita adulta, senza permettere che il bambino che è in noi venga messo a tacere, eliminato, messo da parte dal cinismo, dalla rassegnazione, dal conformismo, ma anche da falsi legami e sottomissioni, non riallacciare il cordone ombelicale, ma tranciarlo, se ce ne fosse bisogno, per affermare la nostra maturità e responsabilità.

Pastore Paolo Tognina