Il film su M13 debutta a Poschiavo: in scena le emozioni dei protagonisti

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Dopo una lunga attesa il film L’Ors (o L’Urs) di Alessandro Abba Legnazzi è stato presentato in anteprima alla comunità poschiavina venerdì 28 ottobre nella palestra delle Scuole comunali di Poschiavo.

Nella sala gremita l’atmosfera di attesa emozionata, ma anche ansiosa, era palpabile; un’attesa dettata non soltanto dal fatto che buona parte degli abitanti di Poschiavo abbiano collaborato al film – sia in veste di attori/comparse, sia in qualità di collaboratori per svariate necessità della produzione –, ma anche (e soprattutto) per il tema, ancora fortemente sentito dalla comunità.

Il film affronta la vicenda dell’orso M13 che, ormai quasi dieci anni fa, ha percorso in lungo e in largo la Val Poschiavo, fino al momento del suo abbattimento, avvenuto nel febbraio del 2013 (a febbraio 2023 cadrà proprio questo anniversario decennale).

All’epoca la presenza del plantigrado in valle aveva scatenato diverse reazioni, spaccature e momenti di difficoltà all’interno della comunità. Proprio questi aspetti sono stati indagati dal regista: il difficile e sempre più complesso rapporto tra uomo e natura, tra uomo di montagna e uomo di città, tra le persone e i meccanismi mediatici.

La pellicola segue da vicino le vicende di Arturo e Livio, due guardiani della selvaggina in valle, e di diversi poschiavini (nel film vediamo soprattutto le storie di Flavio, Daniele e Annalisa) che hanno avuto a che fare da vicino con il predatore. Invece di impostare la narrazione secondo la struttura tipica del documentario, il regista ha optato per un’operazione al limite tra il documentario e la storia di finzione (per quanto, qui, di “finzione” ce ne sia gran poca), facendo sì che fossero i veri protagonisti della vicenda a interpretare sé stessi nel film. Seguiamo dunque i veri Arturo e Livio ripercorrere tutte le fasi del processo che hanno portato all’abbattimento della creatura selvatica.

Tuttavia ci viene anche dato un monito: state guardando i fatti per come sono avvenuti, ma sono comunque una ricostruzione. È un segnale evidente specialmente quando, attraverso un’operazione decisamente limpida e onesta, un attore professionista (interprete della figura di Flavio) si rivolge direttamente al pubblico, dichiarando di essere un attore, perché la persona che realmente ha vissuto quelle vicende non se l’è sentita di partecipare al film.

Nonostante questo avvertimento che rompe la finzione scenica, gli spettatori sono trascinati totalmente all’interno della trama, specialmente grazie all’uso costante del pus’ciavin che rende tutto ancor più concreto e credibile (il film è interamente sottotitolato in italiano).
Un aspetto, quest’ultimo, molto caro alle co-produzioni di RSI e RTR, che nell’introdurre e presentare il film prima della sua proiezione hanno sottolineato: compito delle reti nazionali è anche quello di tutelare e promuovere le lingue e le minoranze linguistiche, a maggior ragione in un cantone come il Grigioni, unico esempio di cantone trilingue in tutta la Svizzera.

C’è un secondo aspetto, inoltre, sul quale le co-produzioni televisive si sono soffermate e che il film fa emergere in maniera evidente: la dinamica mediatica rispetto alla vicenda dell’orso. Durante quel periodo, infatti, tutta la comunità valligiana è stata dipinta dai media nazionali come una manica di assassini di bestie selvatiche non in grado di convivere pacificamente con un orso tornato in valle. Com’è possibile, tuttavia, spiegare a un cittadino di Zurigo, di Basilea o Berna, cosa significa trovare capi di bestiame feriti o morti, arnie divelte o porte di cantine rotte perché l’orso (dal canto suo) cercava da mangiare? In tal senso alcuni giornali nazionali, alla ricerca del mero scoop e della vendita di più copie, non hanno fatto bene il loro mestiere. Qualcuno ha provato, in modi alternativi, ad aprire un dibattito sulla vicenda (attraverso l’uso dei social, tramite una pagina facebook), ma anche in quel caso, come spesso accade, cercare delle verità più semplici, evitando la complessità, è decisamente più comodo.

Quando si guarda un film, in genere la prima scena è quella che offre la chiave di lettura a tutto il resto della trama. La pellicola inizia con la fase finale di tutta la vicenda: l’orso è già stato abbattuto e nell’ufficio dei guardiani della selvaggina avviene l’autopsia della bestia da parte della veterinaria, con finale estrazione del cuore dell’animale. Sembra quasi una dichiarazione d’intenti da parte del regista: quello che si vedrà nel film è il frutto di un’attenta e accurata analisi della documentazione raccolta e delle persone ascoltate e conosciute dall’autore, ma tutto questo non sarà riportato sullo schermo col taglio del bisturi documentaristico, ma verrà mostrato il cuore, le emozioni che ciascuna persona ha provato durante quel periodo. La forza del film sta in questo: tutti si sono comportati in un certo modo in seguito alla presenza dell’orso, ma nessuno (tantomeno il regista o noi spettatori) pone un giudizio sul loro comportamento, perché si comprendono le esigenze e i pensieri di ciascuno.

Il film sarà trasmesso domenica 19 febbraio 2023 su RSI LA 2 in Sguardi. Un’occasione da non perdere per vedere la bellezza della valle (particolarmente fotogenica, grazie ad uno splendido lavoro del direttore della fotografia Patrick Tresh) e le emozioni dei suoi abitanti.

2 COMMENTI

    • Concordo con te, Serena. Molto suggestiva anche la chiave di lettura che Maria Vittoria Novati propone nell’interpretazione della scena iniziale. La collaborazione di RTR RSI alla prima proiezione è stata inoltre molto gradevole e per certi versi sorprendente.