Il fascino evocativo di “Novecento” interpretato da Ciro Masella

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Nel pomeriggio di sabato, 19 novembre 2022, con il Reading Novecento di (e con) Ciro Masella è iniziata la quarta stagione dei Monologanti in Casa Besta a Brusio. Dopo due intense edizioni, ‘18/’19 e ‘19/20, l’interruzione dovuta alle restrizioni pandemiche fra il ‘20/’21 e la seguente edizione concentrata nella sola primavera del ‘22, la piccola rassegna dedicata ai monologhi teatrali torna in una versione ridimensionata per numero (causa mancanza di fondi) ma non per qualità degli eventi in cartellone. Begoña Feijóo Fariña crede ancora fermamente in questa sua “creatura” e nel presentare brevemente lo spettacolo di Masella, ha voluto ringraziare – citandoli uno ad uno – tutti gli sponsor che ne consentono la sopravvivenza.

Il reading del famoso monologo Novecento di Alessandro Baricco, proposto da Ciro Masella, oltre ad aver registrato un numero di pubblico ragguardevole (circa una cinquantina gli spettatori presenti nella piccola sala polifunzionale), ha mostrato per una volta in più – semmai ve ne fosse stato il bisogno – il potere evocativo di cui è capace la parola, specialmente se mediata da un bravo attore in grado di utilizzare con mestiere dizione, prossemica e mimica e di sfruttare al meglio il gioco di luci e musiche. La sola voce – forse sarebbe meglio dire le voci, dal momento che Ciro Masella usa più registri vocali –, amplificata con un semplice impianto audio, è riuscita in modo magistrale a stimolare la fantasia negli spettatori, riproducendo in ciascuno di essi emozioni, forme, colori, suoni e odori provenienti dalle scene descritte in Novecento. D’altronde voce e parola, questo binomio dal potenziale esplosivo e fondativo della nostra specie, trovano nella lettura (o recitazione) del famoso monologo il terreno ideale per tentare di sfondare il muro dell’ineffabile. E ineffabile è un po’ anche il genere di questo testo scritto da Baricco in un evidente stato di grazia e da cui è stato tratto anche il pluripremiato film La leggenda del pianista sull’oceano, diretto da Giuseppe Tornatore con musiche di Ennio Morricone. Una sessantina di straordinarie pagine, quelle di Novecento, in cui l’io narrante (un trombettista salito per lavoro sul transatlantico Virginian) descrive la vita del pianista Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, un personaggio leggendario nato e vissuto esclusivamente sul Virginian fra il 1° gennaio del 1900 e i primi anni del Secondo dopoguerra. Intrinsecamente legato al mondo della musica, in particolare al jazz di quegli anni, il racconto rivela anche una dimensione più speculativa, che trascende il tempo della storia, rimanda al genere fiabesco e si presta perciò a molteplici interpretazioni.  

La scelta di trarne un reading teatrale, anziché un vero e proprio monologo – ha riferito dopo lo spettacolo Masella – è dovuta a una questione di diritti d’autore, in quanto Baricco aveva appositamente scritto il testo per l’attore Eugenio Allegri (recentemente scomparso), che l’ha portato in tournée per un quarto di secolo. Ciro Masella si è avvicinato al testo un po’ dopo, ma così come l’io narrante Tim Tooney (il trombettista) e lo stesso Eugenio, anch’egli è ormai divenuto un custode predestinato del fascino e del mistero della leggenda del pianista sull’oceano uscita dal genio di Alessandro Baricco.

Nei momenti topici del racconto – quando Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento suona il pianoforte con il mare in burrasca, oppure durante il duello con il celebre pianista jazz Jelly Roll Morton – Ciro Masella inserisce nel suo spettacolo musiche scelte con estrema cura, come ad esempio alcuni brani tratti da The Köln Concert di Keith Jarrett o In a sentimental mood di Duke Ellington & John Coltrane. Infine un plauso anche all’ottimo lavoro svolto per quest’occasione brusiese dai tecnici del suono e delle luci Alessandro Luchi e Davide Vinci.


Achille Pola           

3 COMMENTI

  1. A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buonanotte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran.
    Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”. Ci rimasi secco. Fran.